UNITA' D'ITALIA E NUOVI LICEI

CI SALVERA' LA LETTERATURA?

 

L’anno prossimo partirà la nuova scuola superiore, dopo una lunga fase di gestazione che forse non mancherà di offrire ancora qualche altro colpo di scena. In ogni caso, a leggere la bozza delle indicazioni nazionali per i nuovi licei, non sembrano esserci sgradevoli novità, soprattutto per quanto riguarda lo studio della letteratura italiana. Anzi, a leggere con attenzione, lo studio della disciplina sarà anticipato alla fine del secondo biennio, prendendo in esame la letteratura religiosa, i siciliani e i siculo-toscani. In parole povere, si studierà tutta la produzione anteriore allo Stil Novo, dal quale si partirà nel terzo anno. La novità potrebbe creare qualche problema per i tradizionali manuali scolastici, costretti ai necessari aggiustamenti (saranno acquistati nel secondo anno?). Trattandosi di argomenti di soliti studiati in poche settimane, viene da chiedersi se il gioco valga la candela, come si suol dire. Comunque, nel terzo e quarto anno si viaggerà nel tempo fino al Romanticismo, per iniziare, nel quinto anno, lo studio dall’Unità d’Italia, finendo con gli autori dei giorni nostri. Non mancano, poi, gli inviti a non trascurare la produzione letteraria straniera e dialettale.

Per chi conosce la realtà scolastica, non è difficile notare che le richieste sono eccessive e che studenti con tali competenze si incontrano a stento al termine del corso di studi nelle facoltà di lettere. Ma non è questo il punto.

Per noi è importante che non venga cancellata l’importanza della letteratura, visto che si tratta di una disciplina alla quale la nostra nazione deve tantissimo, oggi più che mai. L’unità politica della nostra penisola, si sa, è recente e nel 1861 mancavano ancora delle regioni importanti. Bisogna arrivare alla fine della prima guerra mondiale perché il mosaico si completi, con Trento e Trieste; ma agli studenti questa disciplina ha sempre offerto la bella, e in fondo non ingannevole, sensazione di una nobile unità culturale che affondava le sue radici nel cuore del Medioevo, in quel formicolante e suggestivo Duecento comunale, nel quale aprirà gli occhi sul mondo Dante Alighieri. L’ideale italiano si distende nel tempo e se ne fanno garanti i più grandi scrittori della nostra civiltà.  E’ un dato tutt’altro che trascurabile e quando si è trattato di “fare gli italiani” anche gli storici della letteratura hanno offerto il loro contributo. Pensiamo soprattutto, com’è logico, a Francesco De Sanctis e al suo incantevole disegno affidato ai due volumi della “Storia della letteratura italiana”.

Certo, sappiamo benissimo che quel quadro conteneva delle forzature e non a caso nel secondo dopoguerra Carlo Dionisotti si è fatto portatore di un’idea di storia e geografia della letteratura italiana più aderente alla realtà. Da allora si sono diffuse storie regionali, analisi particolareggiate delle aree periferiche, come la Puglia, e molto materiale è stato portato alla luce. Tutto questo non può essere taciuto e, del resto, si è trattato di un doveroso lavoro di scavo e di approfondimento, ancora in corso. Ma il quadro generale ha retto. L’idea di una superiore unità culturale ha assunto un maggiore dinamismo interno, si è confrontata con le diversità regionali, ma è rimasta in piedi, a conferma dell’esistenza di una preziosa eredità che non può essere dilapidata. Ecco perché c’è ancora tanto bisogno di letteratura, proprio mentre si fanno strada i lombardi di Bossi e i loro tanti imitatori meridionali, che rappresentano i due lati della stessa medaglia.

Ci salverà la letteratura? Dirlo è un’affermazione azzardata ed esagerata. Di certo, in questo clima avvelenato, questa disciplina, con i suoi padri nobili, che hanno nomi illustri, da Dante a Manzoni, passando per Machiavelli, rappresenta più che mai un sorso d’aria pura, un richiamo a delle superiori ragioni che vanno ascoltate e valorizzate.

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