SULLE TRACCE DEGLI ILLUSTRI VISITATORI

IL FASCINO SEMPREVERDE DELL’ARCANGELO

 

           

          La candidatura di Monte Sant’Angelo e della Via Sacra Langobardorum a patrimonio dell’umanità riconosciuto dall’Unesco si inserisce nel migliore dei modi in un rinnovato fervore di studi e di interesse che ha visto, tra l’altro, tenersi, qualche mese fa, proprio nella città dell’Angelo, un importante convegno di studi, che ha visto all’opera un nutrito numero di studiosi, coordinati dal prof. Pasquale Corsi. I risultati di questo studio articolato, che ha coinvolto più atenei, saranno presto pubblicati.

          Di certo, il tratto della Via Sacra, che dalla pianura saliva sul Gargano per arriva a Monte, passando attraverso Stignano, San Matteo e San Giovanni Rotondo, ha attratto anche nel Novecento le attenzioni di molti visitatori d’eccezione, che hanno scritto pagine di notevole letteratura, come nel caso del racconto di Arthur Miller che viene presentato su questo numero del giornale.

          Si tratta di scrittori italiani e stranieri, credenti e non credenti, che lasciano una chiara impronta del loro passaggio, non sulle pareti di un muro, ma su qualche libro, su qualche giornale, apparendo suggestionati dall’atmosfera del luogo.

Come non ricordare il capitolo che lo scrittore forlivese Antonio Beltramelli dedica a Monte nel volume “Il Gargano”, pubblicato nel 1907? Si tratta di pagine dense di risonanze poetiche, ma anche di dati storici e artistici, che attestano la cura nella realizzazione del lavoro. La grotta è il luogo dove il dolore umano cerca un sollievo dall’Arcangelo, dove gli uomini provati dalla sofferenza confidano nell’aiuto del Divino. E’ un tema d’obbligo e nello stesso tempo arduo, una sfida che attende lo scrittore e alla quale egli non si sottrae: “Vi sono luoghi - scrive Beltramelli - che l’umanità sceglie pel suo dolore, in essi si accoglie il mistero. La grotta del pianto da infiniti secoli ascolta”. La magia della roccia si unisce a quella del cielo e del paesaggio, in un mosaico incantevole.

Nel 1929, Riccardo Bacchelli, impegnato nel suo tour garganico, non ha dubbi: “Solo per la scelta del luogo, arte di generazioni come la creazione della lingua, Monte Sant’Angelo è un capolavoro in un paese, l’Italia, che di tali capolavori sovrabbonda. Ma non è arte soltanto, poiché qui concorse e precedette all’arte e con l’arte uno dei più antichi e venerati miracoli della cristianità: cioè l’apparizione dell’Arcangelo Michele ai pastori e poi al vescovo di Siponto, Lorenzo Maiorano..”.

 L’arrivo stentato lascia ancora spazio alla meraviglia. Nel 1934 sulla torinese “Gazzetta del Popolo” appaiono le suggestive prose di Ungaretti dedicate alla Capitanata, destinate poi ad essere incluse nell’opera “Il deserto e dopo”, del 1961. Lo scrittore, che l’anno prima aveva pubblicato la sua seconda silloge poetica, “Sentimento del tempo”, incontra i pellegrini direttamente nella basilica dell’Angelo, protagonista della prosa intitolata in volume “Pasqua”. Ungaretti ascolta “il lamento di persone che fanno la scala in ginocchio. Pastori che incominciano a giungere prima di tornare ai loro monti, per ringraziare l’Angelo della buona svernagione? Come Santa Maria Maggiore di Siponto è la chiesa dei pescatori, questa è la chiesa dei pastori. S’è già detto: ogni apparizione d’angeli ci riporta prima di tutto all’infanzia del mondo: patriarchi, armenti, stelle, solitudine, smarrimento...: pastori… Non sono più tante migliaia come ai tempi del pascolo forzoso nel Tavoliere; ma quando saranno quassù in gran numero nella prima ottava del prossimo maggio, si vedrà che sono ancora molti, per fortuna nostra. Una nazione che ha ancora di questi cuori semplici, non invecchierà mai”.

 

Come si nota nella conclusione di questo passo, le antiche tradizioni del popolo vengono considerate in una luce positiva. I “cuori semplici” sono una risorsa per l’Italia, non un residuo di negativo medioevo, di cui liberarsi in fretta e con sufficienza. E questa conclusione possiamo fare senz’altro nostra, all’alba del terzo millennio.

         Si potrebbero fare tanti altri nomi illustri, da Corrado Alvaro a Cesare Brandi, ai quali vanno aggiunti anche alcuni autori della nostra terra, come Umberto Fraccacreta, che nel 1934, in un poemetto intitolato “La strada d’erba”, descrive il pellegrinaggio a Monte dei protagonisti, dalla valle di Stignano, con la sua “ombra verde”, alla valle Carbonara, fino al santuario, che “rosseggiava nel cielo”. Alfredo Petrucci, da parte sua, in una raccolta del 1950, “Tre paesi, tre canti”, include un sonetto, “Spelonca di Calcante”, che termina con la visione dei pellegrini che salgono sui fianchi della montagna, mentre “ l’Arcangelo Michele/ fende  l’azzurro con  la  spada  d’oro”. E infine, un cenno doveroso va a Pasquale Soccio e al suo “Gargano segreto”. Anche qui il fascino del sacro pervade la pagina, giungendo fino a noi, in un ideale passaggio di consegne, che rende Monte Sant’Angelo e la Via Sacra Langobardorum un luogo privilegiato, davvero patrimonio, è il caso di dirlo, di tutta l’umanità.

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