LA PROSPETTIVA STRAVOLTA: LA NOVELLA NELLA STALLA

I- UOMINI E ANIMALI

 Quando si pensa a Verga e agli animali, la mente corre subito alla bellissima novella delle Rusticane, Storia dell’asino di S. Giuseppe, in cui il quadrupede, seguito nelle varie stazioni che segnano il suo calvario esistenziale, diventa il protagonista assoluto, sin dal titolo; ma è anche vero che gli animali, come presenze vere e proprie o come riferimento figurato, attraversano l’intera produzione del Catanese, in un’ampia ed interessante gamma.

Si pensi al fortunato romanzo Storia di una capinera o, andando ancora più indietro, a I carbonari della montagna, dove ci imbattiamo nell’imponente alano Turco, che partecipa in pieno di quel clima avventuroso e di quelle vivide descrizioni che caratterizzano l’opera. Esteticamente sgraziato ma generoso, il cane morirà in modo eroico e sarà compianto da tutti, quasi fosse anch’egli un vero e proprio patriota. Ma si tratta solo di uno degli esempi possibili.

L’analisi del rapporto tra il Catanese e la materia zoologica è complessa e le affermazioni vanno verificate con un costante rapporto con il testo, tenendo conto anche della dimensione diacronica, oltre che del mutare delle concezioni artistiche. Di recente, a conferma dell’interesse che la tematica sta incontrando tra gli studiosi verghiani, è stato edito un testo, a cura di Gianni Oliva, Animali e metafore zoomorfe in Verga[1], che racchiude alcuni studi specifici, scritti da vari autori. Ovviamente, il tema è così ampio da sceverare che immaginiamo che non mancheranno altri contributi in tale direzione, e da parte nostra ci limitiamo a notare, in questa sede, che nello stesso volume non viene mai citata la novella Nella stalla, di cui invece ci accingiamo a parlare.   

Il punto di partenza del Verga maturo, in ogni caso, è abbastanza chiaro ed è rappresentato dalla riduzione dell’uomo e dell’animale allo stesso livello, dall’annullamento delle differenze che, come mere sovrastrutture, lasciano spazio all’emergere di una cruda e fastidiosa verità, negata o occultata dagli spiritualisti e dai miopi esaltatori della supremazia umana.

Per il disilluso Catanese non esistono gerarchie nel mondo e così implacabilmente procede, nel corso della sua produzione, alla distruzione di ogni falsa speranza e di ogni pseudo-certezza, fino a chiudere il sipario su di una umanità egoisticamente amante della sopraffazione, della violenza, delle squallide messinscene, ma pur sempre formata da vinti, senza eccezione alcuna. Si tratta di punti di riferimento critico ben noti, che però è bene non perdere mai di vista.

Prima di entrare nel vivo della sua lettura della Storia dell’asino di S. Giuseppe, Fernando Gioviale ha scritto: “Verga non è avvezzo a fare delle bestie personaggi-protagonisti, e la bestia è nella sua opera uno straordinario elemento accessorio, spesso toccante, ma sempre lontano dal baricentro ideologico e dall’ottica del narratore. Il caso della novella Nella stalla (poi Inondazione), i cui personaggi sono solo bestie, non può far testo, per la stessa eccentricità del breve bozzetto che, significativamente, non fa parte delle raccolte ufficiali”[2]

Si tratta di un’affermazione in fondo riduttiva, dal momento che gli animali, oltre che “accessori”, sono anche delle presenze di grande spessore, che esemplificano, al pari dell’uomo, le leggi che regolano l’esistenza, fornendo preziose indicazioni e conferme.

Quanto alla novella Nella stalla, se è vero che presenta delle peculiarità ed è rimasta estravagante, affermazioni indiscutibili, è però altrettanto certo che testimonia di una costante attenzione verso il mondo degli animali, il che merita quanto meno un approfondimento.

La Storia dell’asino di S. Giuseppe ha come protagonista indiscusso un singolo animale, ma in Nella stalla, ponendo in primo piano gli animali domestici, isolandoli in modo suggestivo e felice, Verga fornisce un significativo esempio di società non umana, capovolgendo il rapporto di osservazione tra uomini e animali.

E’ una prospettiva stravolta, quella che si presenta al lettore. Sul palcoscenico si agitano questi ultimi, mentre i primi si trovano dietro le quinte, presenze di cui si avvertono i movimenti, i rumori, le reazioni, ma in lontananza, tanto che ogni loro segno di vita arriva attutito e smorzato, pur se non in modo meno drammatico.

Non va inoltre dimenticato che nell’opera estravagante i narratore isola potentemente la Bigia, che nel finale assurge al ruolo di straordinaria protagonista; dunque non manca anche un eroe, con un risalto non assoluto, come per l’asino dal pelo dallo strano colore, ma pur sempre capace di porsi al centro della pagina, con le sue toccanti manifestazioni di amore, la sua angoscia nella ricerca di un aiuto e il suo terrore finale.

Il tutto, nell’ottica verghiana, porta sempre alla sostanziale conferma dell’esistenza di un unico destino di sofferenza e di morte, che attende uomini e bestie, senza distinzione: un dato, questo, che dopo aver riassunto le peculiarità della novella permette comunque di inquadrarla senza soverchie difficoltà nell’alveo della produzione del Catanese.

   

        II- PER UN INQUADRAMENTO

 

Sia la rusticana Storia dell’asino di S. Giuseppe, pubblicata sul “Fanfulla della domenica” del 17 aprile 1881, che Nella stalla, apparsa nel 1883, sulla rivista “Arcadia della carità”, ci portano al periodo d’oro dell’autore, a quel principio degli anni Ottanta che vede il Nostro dare alle stampe quasi tutti i suoi volumi più importanti. Si tratta di un momento di grande concentrazione artistica, nel quale nascono anche alcuni brani compresi di regola nella sezione delle novelle estravaganti.

Verga, come tanti scrittori dell’epoca, riceve spesso delle richieste di partecipazione a volumi collettanei, aventi finalità umanitarie, e talvolta aderisce, malgrado la sua nota ritrosia, specie quando riesce a realizzare qualche pagina più o meno ispirata.

     Vengono così alla luce alcuni lavori, che rappresentano degli studi narrativi, dei cartoni, degli esercizi nel senso migliore del termine, oltre che delle riserve di materiale, alle quali eventualmente attingere all’evenienza. E’ il caso delle pagine di Un’altra inondazione, comprese nel numero speciale del “Corriere dei Comuni”, nel 1880, realizzato a favore degli inondati di Reggio Calabria.

Il Catanese si attiene al tema, ma lo personalizza, rappresentando la sventura che più lo ispirava, l’inondazione di fuoco dell’Etna dell’anno prima. Egli ci conduce nel suo mondo rusticale, mettendo alla prova le sue qualità di analitico descrittore, privilegiando l’indugio sui luoghi, sui personaggi, sulle diverse reazioni.

Come avverrà in Nella stalla, la prosa si apre a riusciti squarci lirici, traendo spunto anche dallo sfondo notturno, che non vanno sottovalutati, come talvolta invece ci capita di leggere.

Nella prima parte, la desolazione del casolare viene amplificata anche dalla mancanza di animali (“ma ciò che colpiva maggiormente era quel cortiletto deserto e sgombro di ogni cosa, senza un cane né una gallina, né un pezzo di legno, quasi spazzato da un vento furioso”, p. 847[3]), mentre nella seconda parte, ripresa per I galantuomini, assume un particolare significato il legame tra l’uomo (che poi diventerà don Marco) e il suo asino, anzi, con una sfumatura affettuosa, il suo “asinello”, che sembra condividere lo stesso destino.

Alla vittima dell’eruzione non è rimasto più nulla, se non questo quadrupede, fonte economica di reddito, ovviamente, nella visione del mondo siciliano, ma anche, nel dolore, consolazione e speranza di riscatto. L’asino è in assoluto l’animale più importante e sulla visione della coppia che si allontana si chiude Un’altra inondazione, con un notevole effetto artistico (…come quel tale che aveva baciato per l’ultima volta il cancello della sua vigna, e se n’era andato tirandosi dietro l’asinello”, p. 850), dovuto alla ripresa dell’immagine e alla sua posizione di epilogo.

Il quadrupede ritornerà anche nella novella delle Rusticane, ma con molto minore risalto; la parte iniziale di Un’altra inondazione, invece, troverà spazio ne L’agonia d’un villaggio, nella raccolta Vagabondaggio. Ma per tutte queste novelle rimandiamo ai successivi, specifici saggi.

Un evento tragico portò Verga a scrivere anche Casamicciola, nel 1881, nel numero speciale del “Don Chisciotte”, approntato dopo il terremoto che colpì Ischia. Il risultato, però, malgrado il comune ricorso al tema memoriale, è molto meno interessante, malgrado l’indugio della prosa su sfumature liriche. E’ un cartone per il Verga borghese, in fondo.

Brani per opere collettanee attraverseranno pure la fase discendente della produzione del Nostro, e così toccherà al terremoto di Messina ispirare i brevissimi Nel carrozzone dei profughi e Frammento per “Messina”!, così amari, come del resto richiedeva la situazione, con il pensiero finale rivolto all’America, nel primo, dove le persone sono trattate peggio dei cani, e con la visione, nel secondo, di uomini provati e colpiti a fondo, “dolorosamente egoisti” (p. 935).

In generale, in questo contesto di sollecitazioni esterne, che riuscivano a trovare una risposta artistica, trova il suo spazio Nella stalla, anche se l’autore omette ogni riferimento a luoghi e ad eventi precisi, con una indeterminatezza che aggiunge significato alle due sue paginette, brevi ma molto dense (la fuggevole menzione della cascina permette in ogni caso di pensare ad uno sfondo padano, e d’altra parte questi sono anche gli anni di Per le vie, ma è fin troppo evidente che il dato per il narratore non ha una particolare importanza). In questo modo l’opera assurge ad un livello simbolico, diventando una testimonianza di una ben nota visione del mondo.

            Si tratta di un brano, oltre che fornito di peculiarità tematiche e costruttive, riuscito dal punto di vista artistico, e quest’affermazione non ci sembra in contraddizione con il fatto che l’autore lo lasciò tra le opere sparse.

            Egli, ci sembra, non ha riutilizzato Nella stalla proprio per il particolare argomento della novella, ambientata in una stalla e dominata da una mucca e dall’episodio della straziante morte del vitellino, così toccante e sui righi, rispetto all’equilibrio ricercato e trovato nelle novelle. Queste caratteristiche rendevano improbabile anche un uso come sezione di una più ampia narrazione novellistica, secondo quanto già realizzato per Un’altra inondazione; né Verga ritenne che l’opera avesse uno sviluppo tale da rientrare nel novero delle novelle canoniche, ed a giusta ragione.

            Nella stalla, in realtà, è una composizione dal senso compiuto, che si apre sulle reazioni degli animali, posti in uno spazio chiuso, incuriositi dalla nascita di un vitellino ed inquieti per l’arrivo di un pericolo, che sarà rappresentato da un’inondazione dalle tragiche conseguenze; quando la situazione precipita, le bestie, come gli uomini, cercano di mettersi in salvo come possono, ma il vitellino soccombe, malgrado gli sforzi della madre, perdendo la sua lotta per l’esistenza.

            E’ un quadro intensissimo e completo, visto in una ben precisa luce, che ad un autore novecentesco avrebbe potuto bastare, probabilmente, ma non al Verga, in ogni caso. Il Marchese, che ha incluso Nella stalla, insieme a Passato!, nell’antologia verghiana da lui curata, sulla base di una positiva valutazione artistica, ha scritto che i due brani non sono propriamente dei racconti, essi “stanno fra l’elzeviro e la nota di diario”[4], rappresentando “due ‘visioni’ o ‘epifanie’”[5].

Quadro o visione che dir si voglia, non si può non è riconoscere la bellezza e la peculiarità della composizione, che possiamo utilmente confrontare con La Barberina di Marcantonio, traendone alcune indicazioni. Questa è una breve novella appartenente ai Drammi intimi, che nell’edizione mondadoriana, dov’è impropriamente relegata tra le Novelle sparse, occupa quattro paginette, all’incirca il doppio dell’opera estravagante.

I due lavori risalgono pressappoco agli stessi anni e La Barberina di Marcantonio appare inizialmente proprio in un numero unico umanitario e miscellaneo, a favore degli inondati, Charitas. Dall’Etna al Po, edito a Catania dal Giannotta, nel dicembre del 1882[6].

Il nesso è dato soprattutto dal comune tema dell’inondazione, vista nelle sue disastrose conseguenze, oltre che da talune affinità, come nell’indugio sugli effetti della luce nell’oscurità. Dopo la descrizione della grama esistenza di un mugnaio, realisticamente e fatalisticamente legato al posto malsano in cui vive, che sposa un’orfanella, una volta rimasto vedovo, per sfuggire alla solitudine e alla malinconia, la scena si allarga, nel finale, ad una dolente visione di sfollati, che cercano riparo dalla piena del fiume su di un argine.

La dimensione narrativa della novella, che si distende nel tempo con i suoi personaggi ben caratterizzati e il suo preciso sfondo geografico (veneto, per la precisione, particolare che non è sfuggito ai critici, visto che rappresenta un unicum), è evidente, ragion per cui non ci meraviglia che sia passata in volume, offrendo, in un certo senso, uno sbocco ufficiale al tema dell’inondazione.

Se La Barberina di Marcantonio è una novella più regolare, per così ire, e pertanto è stata promossa allo status di opera inserita in un corpus novellistico, pur tuttavia non è priva di difetti, come vedremo in dettaglio.

Al contrario, le due paginette sciolte di Nella stalla, con la loro originale descrizione della società degli animali e del dramma della mucca e dell’innocente vitellino, ci appaiono più interessanti, da un punto di vista artistico e contenutistico, più capaci di imprimersi nella mente del lettore.

Se da una parte il Catanese ha fatto ricorso, nell’opera estravagante, alla sua conoscenza del mondo della campagna, dall’altra è possibile che abbiano operato in lui suggestioni e reminiscenze provenienti dal mondo classico. E’ l’immagine del dolore della madre, di fronte al vitello sacrificato, che compare in alcuni passi, tra cui uno famoso di Lucrezio.

Nel secondo libro del De rerum natura, in un potente squarcio poetico, si parla di un vitello che “cade immolato, esalando dal petto un fiume caldo di sangue”[7], e della madre ignara e desolata, che fruga ovunque, nella speranza di ritrovarlo, e “immobile al margine del bosco foglioso, lo riempie dei suoi pianti e senza soste torna a vedere presso la stalla, il cuore trafitto dal dolore per il figlio”[8]. Nulla può consolare la madre, tanto meno la vista di altri vitelli, dal momento che essa cerca il suo, che ben conosce. 

Possiamo ricordare anche due similitudini di Ovidio: una è tratta dalle Metamorfosi, “come giovenca gemette che vede spaccare le tempia/ cave del figlio lattante da colpo ben netto del maglio/ dato all’orecchio di destra”[9]; l’altra dai Fasti, “Come la vacca mugghia pel vitellino strappato/ dalla poppa e lo cerca per tutta la foresta”[10]

Ammesso comunque che Verga conoscesse quest’immagine classica e se ne ricordasse nell’occasione, in modo più o meno conscio, resta il fatto che la novella mostra i caratteri tipici della produzione verghiana, calando con naturalezza il rapporto tra mucca e vitellino nel contesto di una tragica inondazione, e dunque dandole una sua piena originalità.


 

[1] Bulzoni, Roma, 1999. Il testo contiene vari saggi, accomunati dall’accettazione della chiave di lettura famistica della produzione verghiana, cara a Gino Raya, che ha firmato vari testi fondamentali per la conoscenza del Catanese, un critico ricordato non a caso dal prof. Oliva nella Premessa. Il famismo, in verità, ci sembra applicato un po’ troppo rigidamente, nelle diverse analisi, pur fornendo indubbiamente delle utili chiavi di lettura per addentrarci nel mondo del Catanese.

[2] F. GIOVIALE, Storia dell’asino di S. Giuseppe, in Novelle rusticane di Giovanni Verga 1883-1983, a cura di C. Musumarra, Palumbo, Palermo, 1984, p. 101.

[3] Il numero di pagina, per tutte le citazioni da novelle verghiane, salvo diversa indicazione, si riferisce al testo di riferimento, rappresentato da: G. VERGA, Tutte le novelle, a cura di C. Riccardi, Mondadori, Milano, 19873

[4] A. MARCHESE, Introduzione a G. VERGA, Novelle, a cura di A. Marchese, SEI, Torino, 1994, p. 28.

[5] Ivi. Molto discutibile ci sembra la scelta del Carnazzi, che ha escluso Nella stalla e altre opere “di carattere occasionale o non specificamente narrativo” dall’edizione da lui curata nel 1981 per la Biblioteca Universale Rizzoli, Novelle; la citazione è a p. LXIII del primo volume. 

[6] G. ALFIERI, Introduzione all’ed. critica di Drammi intimi, Banco di Sicilia-Le Monnier, Firenze, 1987, p. XXVII. 

[7] LUCREZIO, De rerum natura, II, 353-54, trad. di O. Cescatti, Garzanti, Milano, 1975, p. 97.

[8] Ivi, vv. 358-60.

[9] OVIDIO, Le metamorfosi, II, 623-625, trad. di F. Bernini, Zanichelli, Bologna, 1983, pp. 83-85.

[10] OVIDIO, I Fasti, IV, 459-460, trad. di F. Bernini, cit., p. 187.

   

    Vai alla pagina successiva