NORD E SUD DOPO 150 ANNI  

"TERRONI" DI PINO APRILE: CRONACHE DI UNA LUNGA INGIUSTIZIA

           

            E’ un libro che sta facendo molto parlare di sé, e non a caso. Ci riferiamo all’ultimo lavoro di Pino Aprile, intitolato “Terroni” (Piemme, Milano, pp. 303, euro 17,50). Pugliese di nascita, Aprile ha al suo attivo una lunga carriera giornalistica, che lo ha visto anche ai vertici di alcune testate nazionali. Ora, con questo volume, affonda il coltello in quella che è la famosa o, meglio, famigerata, questione meridionale. L’occasione, del resto, è quanto mai propizia, viste le celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia.
            Come mai dopo tanto tempo il Nord e il Sud continuano a rimanere diversi? E’ una bella domanda. Il motivo è semplice: perché il Nord non ha voluto realizzare una vera unione, limitandosi a sfruttare il Sud in modo capillare, con il concorso di non pochi politici meridionali, che avrebbero dovuto tutelare ben altri interessi. “Terroni”, lo diciamo subito, trasuda di sdegno e di rabbia, accumulati di fronte alle ipocrisie e agli stravolgimenti della storia ufficiale, ma è un testo molto informato, che offre non pochi spunti originali. Forse lo sdegno poteva essere un po’ moderato, ad evitare qualche fraintendimento, forse qualche tesi è un po’ estremista, ma il cuore del discorso di Aprile non fa una grinza.

          Il Sud non ha fatto un buon affare, con l’Unità, voluta dai Piemontesi e da pochi patrioti meridionali. L’ex regno delle Due Sicilie, alla vigilia dei noti eventi garibaldini, era una zona abbastanza sviluppata, con alcuni attivi nuclei industriali e non pochi primati. Possedeva una importante flotta e il reddito dei suoi abitanti non era inferiore a quello dei settentrionali. Anzi, il vero declino del Sud data dopo l’Unità, come viene dimostrato nel libro, attraverso alcuni interessanti confronti tra regioni. Solo all’inizio del Novecento, ad esempio, si consolida la situazione che vede le regioni più povere al Sud e quelle più ricche al Nord. Del resto, è noto che i primi ad emigrare furono proprio quelli del centro-nord.

            La verità, spiega Aprile, è che il sistematico sfruttamento del Sud ha creato una situazione nella quale le vittime si sentono persino in colpa, mentre gli sfruttatori si permettono di far nascere persino una “questione settentrionale”, rivendicando altri privilegi.

            Sul banco degli accusati ci sono, tra gli altri, gli storici ufficiali, che hanno permesso di dimenticare per anni vicende come quelle di Pontelandolfo e Casalduni, nel Beneventano, massacri feroci operati dall’esercito piemontese, con stupri di massa e torture, paragonati agli eccidi dei nazisti a Marzabotto. Dalla ferocia della repressione del brigantaggio, che altro non era che la protesta dei meridionali di fronte ad una sopraffazione, si passa all’emigrazione di massa e alla perdita di identità dell’intero meridione d’Italia. Una parte della nazione ha perso i suoi riferimenti, finendo per ritrovarsi in una condizione d’inferiorità, come quella attuale.

            Come se ne esce, allora, da questa situazione? Aprile non si nasconde neanche ora. Prima di tutto, i meridionali devono riscoprire la propria identità, devono ritrovare il proprio volto cancellato dalla violenza della storia. “Da qualunque parte ci si muova, – si legge – si arriva sempre allo stesso punto: quello dove il filo della storia fu reciso. E’ lì che bisogna riannodarlo. Persino se, per farlo, si dovesse sciogliere un nodo malfatto, e tornare soli. E dopo? Beh, rimettersi insieme, ma da pari”. Fin qui Aprile, che ha firmato un testo che merita un’attenta lettura da parte di tutti gli italiani.

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