LA SCOMPARSA DI STEFANO CAPONE

 

 

         Quando ci hanno comunicato la notizia della sua scomparsa, non abbiamo capito subito di quale Capone si trattasse. Poi, però, il nome ha troncato ogni dubbio: si trattava proprio di Stefano, il professore specializzato nella storia del teatro, il relatore di tanti convegni.

A vederlo, si capiva subito che aveva qualche problema di salute e dimostrava di più dei suoi anni; ma era un’impressione che durava poco. Bastava sentirlo parlare, per rimanere colpiti dalla solidità delle sue argomentazioni, dalla ricchezza dei suoi riferimenti, dalla sicurezza delle sue citazioni. Erano i fatti ad imporsi, visto che la sua voce, come il suo fisico, era esile, delicata; ma da Stefano non abbiamo mai sentito una parola fuori posto, una sola nota stonata. In questo era davvero un personaggio fuori dal comune.

Di solito si dice che nessuno è profeta in patria; nel caso di Stefano non era così: erano in tanti ad apprezzarlo, a Foggia come a San Severo e negli altri comuni della provincia dove si recava con regolarità, accogliendo con grande disponibilità gli inviti che gli arrivavano. Quando il suo nome appariva su qualche locandina, c’era sempre qualcuno che si presentava apposta per incontrarlo.

Due anni fa venne chiamato a presentare una mostra fotografica, nella biblioteca comunale di San Severo, per conto di un’associazione specializzata nel settore. Si trattava di valutare delle fotografie, di sviscerarne gli intenti più nascosti. Stefano non vedeva bene, è noto, e noi stessi ci presentammo alla mostra con qualche timore; ma lui iniziò a snocciolare dati su dati, senza fermarsi. La sua voce in quelle occasioni si irrobustiva passaggio dopo passaggio, nesso dopo nesso, lasciando in assoluto silenzio l’uditorio. Era impensabile che qualcuno potesse parlare, e così Stefano andò avanti per oltre mezz’ora, fino alla salva di applausi che segnò la conclusione del suo intervento.

Nel dibattito, poi, di fronte ad alcune obiezioni interpretative, difese anche a spada tratta le sue idee: “Ma non vedete questo particolare?”, “Ma non notate quel dettaglio?”. Per noi, era un modo per cogliere la serietà con la quale si preparava ad affrontare gli impegni. Conosciamo alcuni relatori che a stento conoscono l’argomento di cui devono parlare, e che talvolta hanno anche la spudoratezza di vantarsi per le loro presunte doti di improvvisatori; Capone era agli antipodi rispetto a questo modo di procedere.

Quando scendemmo le ripide ed infide scale del complesso di San Francesco, già orfanotrofio cittadino, costruite in un’epoca nella quale certe preoccupazioni non erano avvertite, Stefano si aggrappò al nostro braccio e ritornò fragile. Temeva di scivolare, ed aveva ragione, ma nella nostra mente non ci fu spazio per pensieri tristi, anzi, pensammo con ammirazione a questo studioso che riusciva ad esprimere tanta energia, tanta vitalità.

                                                            Egli si recava regolarmente ad Arezzo, percorrendo regolarmente alcune centinaia di chilometri, per andare all’università, né tralasciava gli altri impegni foggiani.

Negli ultimi anni aveva ottenuto un insegnamento tutto per lui. Nel sito internet della Facoltà di Lettere di Arezzo c’è ancora il suo nome, come docente a contratto di “Teoria e storia dei generi letterari”. Per lui doveva essere una bella soddisfazione, visto che non aveva guadagnato nessuna benemerenza portando la borsa ai docenti o vantando qualche cognome illustre, di quelli che piacciono tanto a certe università e a certi baroni. I suoi risultati erano il frutto di costanza ed abnegazione, e su questo nessuno trovava nulla da ridire.

I suoi lavori sono spesso specialistici, legati a quel mondo dell’opera comica italiana che lo appassionava da tanti anni. Ma non sono mancati anche studi con chiari nessi con il territorio, come quelli relativi al 1799 in Capitanata. Un po’ storico, un po’ letterato, il Nostro sapeva dove cercare i suoi documenti, le sue fonti di prima mano, e l’esperienza sosteneva la competenza.  

Oltre a ciò, Stefano sapeva seguire anche argomenti che apparentemente erano estranei al suo mondo di studi, non perdendo mai la capacità di stupire. Ogni tanto leggevamo di qualche suo premio, di qualche sua affermazione, e tutto finiva per sembrare scontato, logico. Era difficile pensare che fosse vicino al momento del congedo definitivo, e anche lui era ben lontano dall’avere dei lugubri pensieri, dopo aver festeggiato con gli amici il suo quarantottesimo compleanno. L’ultimo, purtroppo.

Era il quinto atto, ma tu non lo sapevi, e neanche noi, rimasti di stucco nell’apprendere la ferale notizia, in una banale mattina di maggio. La campana suona per tutti, Stefano. Ci mancherai.

 

CHI ERA STEFANO CAPONE

 

 

Stefano Capone era nato a Foggia, dove viveva, nel 1959. Si era laureato in Lettere moderne a Napoli, nel 1983, con il massimo dei voti e la lode, discutendo una tesi in sociologia della letteratura, “Documenti dell’impresa teatrale del primo periodo dell’opera buffa”. Relatore era il prof. Michele Rak, con il quale ha collaborato per molti anni.

L’argomento, come si nota, riguarda il filone più importante dei suoi interessi, quello teatrale, con particolare riferimento all’opera comica, alla quale dedicherà anche la sua densa tesi di dottorato di ricerca (“L’opera comica napoletana”).

Capone si specializza in quest’ambito, partecipando a numerosi convegni nazionali. Dopo la laurea, inizia a collaborare con l’Università di Napoli, tenendo seminari e cicli di lezioni; poi approda ad Arezzo, sede staccata dell’Università di Siena, sempre con il professore Rak, dove si fa valere per la sua profonda conoscenza dell’argomento. Parallelamente, diventa docente di ruolo negli Istituti superiori, dividendosi per anni tra la cattedra foggiana e l’impegno universitario. Nell’ultimo periodo insegnava, come docente a contratto, “Teoria e storia dei generi letterari”.

Tra i testi da lui pubblicati, ricordiamo almeno:  “Li stravestemiente affurtunate: storia di un’opera proibita”  (Napoli, 1985); “Dittico pirandelliano”, in collaborazione con Giuseppe De Matteis (Foggia, 1989); “Autori, imprese, teatri dell’opera comica napoletana”, (Foggia, 1992); “Le nozze del principe. Diari, cantate, suppliche, bandi e altri generi letterari per le nozze di Francesco di Borbone a Foggia (1797)”, (Foggia, 1997); “I racconti della rivoluzione. Documenti per una storia del 1799 in Capitanata” (Foggia, 1999);   “Piccinni e l’opera buffa : modelli e varianti di un genere alla moda” (Foggia, 2002).

Nel 2002 collabora alla realizzazione del catalogo “Incunaboli e cinquecentine della biblioteca comunale Alessandro Minuziano di San Severo”, edito, come numerosi altri libri, dalle Edizioni del Rosone di Foggia, sui cui periodici scriveva con regolarità.

Dell’ultimo suo lavoro, “Il dramma sregolato”, era già prevista la presentazione a Palazzo Dogana, e la serata si è svolta ugualmente in sua memoria.

Capone ha anche collaborato attivamente alla produzione di alcuni spettacoli con compagnie e associazioni locali, non trascurando neppure la televisione, occupandosi di tematiche impegnate, ma anche più leggere, che venivano incontro ad un volto del suo carattere.

Del Nostro si ricorda anche la partecipazione a vari convegni storici, in diversi comuni della provincia.

A completare il quadro dei suoi interessi, ricordiamo, ancora, l’amore per l’arte, la musica e la fotografia. Stefano era un relatore molto richiesto e sempre disponibile, il che lo rendeva familiare a tutti quelli che amavano la cultura nei vari comuni della nostra provincia. 

Capone si è spento improvvisamente nella notte, poche ore dopo aver festeggiato il suo quarantottesimo compleanno. I funerali si sono svolti lo scorso 28 maggio, nella Chiesa Immacolata di Foggia, alla presenza della vasta platea di amici ed estimatori, colpiti da un evento così repentino e tragico, che ha privato la nostra provincia di una delle sue menti più lucide e brillanti.

 

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