UN LIBRO DI ARMANDO PETRUCCI

LA CIVILTA’ DELLE LETTERE CARTACEE  

 

           

    Ci sono dei libri che, oltre a sanare delle lacune cognitive, si rivelano straordinariamente attuali. Uno di questi è sicuramente “Scrivere lettere. Una storia plurimillenaria”, di Armando Petrucci (Laterza, Bari, pp. 238, euro 20), che non a caso ha subito riscosso molte attenzioni da parte di critici e lettori.

    Petrucci, nato a Roma nel 1932 (ma di origini pugliesi, visto che il padre, Alfredo, per molti anni direttore del Gabinetto Nazionale delle Stampe, era di Sannicandro Garganico), è stato docente di Paleografia latina nelle università di Salerno, Roma e, infine, alla Normale di Pisa. Oltre a ciò, è socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei e dell’Accademia Reale del Belgio.

    Nella sua lunga attività di studioso, ha pubblicato numerosi lavori specialistici, senza dimenticare alcuni testi di avviamento alla materia, come “Prima lezione di paleografia”, sempre per i tipi della Laterza. Ora, in “Scrivere lettere”, ha offerto un quadro ampio ed articolato, ma disegnato in modo accattivante, conciliando il rigore delle affermazioni con le esigenze della migliore divulgazione. Chi vuole approfondire, ad ogni buon conto, può fare sempre ricorso alla bibliografia finale.      

     

           

   Parlavamo di libro attuale, ed in effetti un tale lavoro andava fatto proprio in questo periodo, per ricordare a tutti, specie ai più giovani, l’esistenza di un’antica consuetudine epistolare, che è andata rapidamente perduta, di fronte all’avanzare delle nuove tecnologie.

    La civiltà delle lettere tradizionalmente scritte a mano è ormai agonizzante e non ci sarà, è facile prevederlo, una resurrezione. Le vecchie generazioni possedevano ben nascoste, in un cassetto o in un libro, le proprie lettere. Erano pagine piene di sentimento, risalenti al periodo del fidanzamento, del servizio militare, della lontananza, ed esprimevano desideri umani ed eterni. Poi questa consuetudine è andata perduta e i giovani di oggi conoscono solo le rapide telefonate e i messaggi di posta elettronica, brevi e frettolosi, non pensati per durare nel tempo. E’ la conferma di una perdita, che si riverbera anche in un più ampio settore della filologia (si pensi agli autografi...).

    Petrucci prende le mosse dalle prime lettere giunteci, che risalgono al periodo tra il VI e il IV secolo a.C. I testi erano scritti a graffio, su superfici metalliche o su frammenti di coccio, e ci riportano al mondo greco. Proprio una di queste lettere viene posta in apertura del primo capitolo, un testo del V secolo, che racconta di una sofferenza altrimenti destinata a rimanere sconosciuta: “Lesis scrive questa lettere a Xenocle e a sua madre perché in nessun modo dimentichino che egli sta morendo nella fonderia, ma che vadano dai padroni e trovino qualcosa di meglio per lui. Io sono in balia di un uomo totalmente malvagio; io perisco sotto la sua frusta, sono schiavizzato e maltrattato sempre di più, sempre di più”. E’ un testo che non ha bisogno di commenti e che avvia il lettore ad una densa ed esauriente indagine, che passa in rassegna, diacronicamente, i vari aspetti del problema, dal materiale utilizzato agli strumenti di scrittura.

    La storia, avvicinandosi a noi, conosce cambiamenti sempre più rapidi. La macchina da scrivere, novecentesca, lascia spazio ad un erede ambizioso, il computer, che ci porta fino ai nostri figli, che hanno visto le vecchie Olivetti solo da qualche rigattiere o nel garage, ma non le hanno mai usate.

    Molti sono stati anche i cambiamenti prodotti dall’Ottocento, con l’introduzione, tra l’altro, del pennino d’acciaio, per scrivere meglio, delle buste, che garantivano una maggiore segretezza, e del francobollo, nato in Inghilterra nel 1840 (il famoso penny nero) e giunto in Italia nel 1850, con i primi esemplari del Lombardo Veneto.

    Petrucci si sofferma, ovviamente, anche sui famosi epistolari del passato, da quello di Cicerone a quello di Petrarca, fino a quello di Leopardi. Le lettere sono una fonte di informazioni davvero preziosa e la loro storia era doverosa. Un libro, dunque, scritto per noi contemporanei, ma anche a futura memoria.

           

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