A QUATTRO MESI DALLA SCOMPARSA

RICORDANDO FRANCESCO FERRANTE

 

Internet sembra non conoscere la morte. Andando sul sito di Francesco Ferrante (www.francescoromanoferrante.it) si legge che si può entrare in contatto con lui, e lo stesso avviene se digitiamo il suo nome su Facebook. E’ un’illusione virtuale, in tutti i sensi, visto che Ferrante ha lasciato la scena di questo mondo circa quattro mesi fa, lo scorso 31 luglio, nel cuore dell’estate, quando le attenzioni di molti sono rivolte altrove.

Ferrante era sicuramente un personaggio singolare. Un ottimo amico, generoso, sempre disponibile, anche se portava dentro di sé i suoi dolori, i suoi crucci, che talvolta riemergevano. C’erano periodi in cui ci vedevamo quasi ogni giorno ed altri in cui spariva dalla scena e non c’era verso di ritrovarlo. “Ci vediamo nei prossimi giorni”, ci diceva al telefono, ma noi capivamo che non era il momento adatto e lasciavamo perdere. Sapevamo che preferiva bazzicare sul suo Gargano, la terra dov’era nato nel 1940 e dove si è spento, improvvisamente, nei pressi della sua Cagnano.

Del Promontorio, del resto, Francesco sapeva davvero tutto. La sua curiosità e la sua meticolosità lo rendevano un conoscitore di angoli nascosti, di scorci misteriosi, di monumenti ignorati ma meritevoli di notorietà. D’altra parte, i suoi lavori vertevano soprattutto su questa terra, verso la quale portava un intenso amore, sopravvissuto anche al trasferimento in terra piana, nel cuore del Tavoliere.

Giornalista pubblicista dal 1996, nel corso degli anni aveva scritto su numerose testate, offrendo anche la sua firma di direttore. Per un periodo era stato corrispondente della “Gazzetta del Mezzogiorno” da San Severo, ma quello, in verità, non era il suo posto, e quando lo lasciò lo trovammo normale. I suoi interessi vertevano soprattutto nell’ambito culturale e di quella stagione sono rimasti alcuni articoli, racchiusi con altri nel volume “Uomini, Luoghi, Memorie. Dal Gargano all’Alto Tavoliere”, pubblicato nel 2005 per le Edizioni Centro Grafico Francescano di Foggia.

Serata di presentazione del libro di Ferrante (il secondo da destra, tra Mundi e Giuliani)

 

Quel libro porta la nostra prefazione, scritta davvero con grande piacere, quasi cinque anni fa. Si tratta di pagine dedicate al mondo natio, quello garganico, e a quello d’adozione, rappresentato da San Severo e dai dintorni. Sempre, comunque, si notava la serietà del suo lavoro, l’impegno con il quale sceglieva e pesava le parole.

In quel periodo ci sentimmo con lui con particolare frequenza e lo aiutai volentieri, insieme con Benito Mundi, anche nell’organizzazione della serata di presentazione, tenutasi nella biblioteca comunale, alla presenza dei sindaci di San Severo e di Cagnano. Lui si lamentava per il fatto di essere un isolato, uno difficilmente intruppabile, e noi gli ricordavamo che non era l’unico e che tanti isolati formavano un gruppo. Temeva anche per la partecipazione della gente, ma fu un successo, sancito da molti e sinceri applausi da parte dei presenti.

Il libro doveva essere presentato anche nel suo paese natale, ma poi non se ne fece niente e di questo Francesco se ne dolse. Quello che importa, però, è che il volume venne pubblicato, raccogliendo tante pagine sparse che meritavano di essere fuse in unità.   

Ogni volta che pubblicavamo qualche lavoro, una delle prime copie era per lui, specie se l’argomento era il Gargano. Sapevamo che l’avrebbe subito letto. Ancora oggi sul suo sito c’è la lunga e informata recensione che dedicò al testo di Antonio Beltramelli, da noi curato. Si vedeva che sapeva ricambiare le attenzioni e che amava andare al fondo dei problemi. Di qui le sue osservazioni pertinenti e acute, le sue riflessioni, ma anche i suoi silenzi e la sua ricerca della solitudine.

Oggi che riposa nella nuda terra, a pochi metri dall’amato figlio Nicola, ci capita non di rado di visitarlo, mentre ci rechiamo a trovare i nostri nonni e nostro zio Pinuccio, e allora immancabilmente ci ricordiamo della sua preziosa amicizia; lo stesso sentimento che ha guidato ora la nostra penna in questo ricordo, nella vana illusione di fermare il tempo e i ricordi.

 

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