PREFAZIONE

 

           La pubblicazione di questo libro è stato un obiettivo sin dalla prima lezione del Corso di Scrittura Creativa, diventata l’anno dopo semplicemente Scuola di Scrittura. Avevamo appena inaugurato il corso, davanti ad una platea ideale, affollata di persone di ogni età e grado d’istruzione, che la realizzazione del volume faceva già capolino, rappresentando una scommessa, anzi, un punto d’onore.

Diciamo la verità: far nascere un’iniziativa culturale, specie al Sud, è facile; il difficile è continuare, rafforzare e concretizzare l’idea, cercando di incidere in una realtà territoriale ricca di luci ma anche di ombre, e per giunta, queste ultime, enfatizzate. Spesso si ha il coraggio, ma mancano la costanza e il senso delle proporzioni.

Nel nostro caso, lasciando, com’è logico, ad altri il giudizio di merito, possiamo dire di aver raggiunto uno degli obiettivi di partenza, mostrando quello che si può realizzare senza chiedere la luna e senza pretendere miracoli da nessuno. Ci siamo prefissi pochi risultati, ma concreti.

Volendo riassumere al massimo, potremmo dire che ci siamo impegnati a dimostrare che è possibile migliorare la propria scrittura, che si può incrementare il proprio repertorio di forme espressive.

La Scuola non ha proposto nessuna scorciatoia, non ha illuso nessuno, affidandosi alla nuda forza dei fatti e a promesse semplici e facilmente verificabili. Di qui, probabilmente, la sua capacità di instaurare un dialogo con gli studenti e, a monte, con l’Amministrazione Comunale della Città di San Severo.

Al Sindaco, Giuliano Giuliani, che ha anche la delega alla Cultura, abbiamo chiesto di sostenere i costi vivi della Scuola, di fornire una sede istituzionale per il corso, mirando a creare un altro punto di aggregazione culturale per la città e per il suo circondario.

Si dice spesso che il vero limite delle iniziative è rappresentato dall’individualismo, dalla presenza di troppi personaggi che si credono indispensabili e che sperano di emergere anche favorendo il vuoto intorno a sé, salvo, poi, magari, lamentarsi del deserto di iniziative culturali. Per quanto ci riguarda, abbiamo mirato nella direzione opposta, invitando alle lezioni anche alcuni scrittori già affermati e pubblicati, appartenenti alla nostra realtà, con l’obiettivo di allargare il cerchio quanto più possibile.

Ovviamente, i veri protagonisti sono stati gli allievi della Scuola, che sono apparsi subito conquistati dal clima fattivo e cordiale instauratosi nel corso delle lezioni, grazie anche all’esperienza di Enzo Verrengia. Un impegno, il loro, portato avanti con la massima serietà e collaborazione. Corsi del genere si tengono, a pagamento, in molte città, ma a noi piaceva l’idea, profondamente democratica, di rivolgerci a chiunque ne avesse la voglia e le capacità, senza preclusioni di sorta, e siamo stati subito contenti di trovare dall’altra parte un eguale senso di responsabilità.

In questo contesto, il pensiero dell’antologia si è progressivamente riempito di contenuti. Gli allievi hanno preparato con cura i loro lavori, rileggendoli, osservandoli con sguardo critico, rifacendoli, fino alla conclusione, fino alla presentazione di questo libro che rappresenta un po’ il saggio di fine anno, l’esame di maturità o, più semplicemente, una prima tappa nel rapporto con l’affascinante mondo della scrittura.

Ogni scrittore desidera naturalmente essere letto, e noi abbiamo fatto in modo che a questo appuntamento tutti arrivassero con il piede giusto, pur consapevoli che l’ultimo giudizio, come già detto, non tocca a noi. Siamo evidentemente troppo coinvolti.

Ma un libro come questo ci sembra prestarsi a molte chiavi di lettura.

In fondo, in una visuale diacronica, rappresenta anche un modo per valutare la qualità dell’impegno intellettuale di un ambiente come il nostro in questi primi anni del terzo millennio.

 

 

 

Da anni siamo impegnati a studiare e a rivalutare i personaggi del nostro passato letterario, che si scopre sempre più ricco di iniziative e di autori di spicco. Basta cercare, per trovare manifestazioni, libri, riviste ed iniziative di grande spessore, che sfatano sempre più l’immagine della Puglia attardata e provinciale, chiusa in se stessa. Non c’è solo il volto negativo, fin troppo noto; accanto ad esso, c’è una tradizione che dobbiamo riscoprire e valorizzare.

Non siamo figli del caso, insomma, né lo sono stati i grandi nomi del nostro passato. Le nostre radici culturali vanno portate alla luce e doverosamente rivalutate, rappresentando un punto di riferimento indelebile.

Un libro come quello che presentiamo, con le sue due sezioni, di “Esordi” e di “Conferme”, vuole porsi come una attualizzazione, nel senso più ampio, di questa eredità. Un lavoro collettivo che congiunge le tre dimensioni temporali, mostrando eredità, presente e prospettive della scrittura.

Fino a pochi anni fa, erano in tanti quelli che parlavano apertamente di prossima morte della scrittura, in una civiltà eminentemente visiva, basata sull’immagine; numerosi ricordavano che nella lunga storia dell’uomo la scrittura è nata ieri, non molti secoli fa, lasciandosi andare a delle lugubri deduzioni. Pochi anni dopo, però, la scrittura ha ripreso slancio. E’ bastato che i computer rivalutassero le lettere dell’alfabeto, che la gente partecipasse alle chiacchierate on-line, che prendesse l’abitudine di mandarsi dei messaggini via cellulare, per spostare le discussioni su altre tematiche.

I profeti di sventura in realtà non sono mai mancati, in tutte le epoche; oggi, grazie ai mass-media, sono forse più presenti ed invadenti, in una babele di messaggi, assumendo di conseguenza forme e contenuti più truci e aggressivi.

In una società che consuma sempre più velocemente anche le notizie, abituata a tempi serrati, sta venendo meno la capacità di riflettere con calma, di prendere la giusta distanza dai fenomeni, per un giudizio più pacato ed equilibrato.

E’, in fondo, stata annullata la vecchia distinzione tra storia e cronaca, e le conseguenze si vedono. Da pochi e parziali dati, si ritiene di poter fare valutazioni a lungo raggio.

Non che non sia vero, ovviamente, che la nostra è una società basata sull’immagine: sarebbe come negare l’evidenza; ma questo non significa che la scrittura scomparirà. Per lo meno, non avverrà nel futuro prossimo, quello che ci riguarda direttamente.

Anzi, proprio le dinamiche sociali stanno dando una nuova importanza alla scrittura, all’arte di esprimersi con precisione e compiutezza, piegando il proprio pensiero a tutti i propositi, a tutte le sfumature, a tutti i dettagli.

I nuovi scribi, preziosi ed autorevoli, sono proprio coloro che riescono a scrivere una pagina senza infarcirla di errori di grammatica o di banalità quotidiane, i possessori di un’arte sempre meno diffusa, ma preziosa.

Per chi insegna Italiano in una delle tante scuole italiane, la domanda più ricorrente da parte degli studenti, di fronte ad un compito scritto insufficiente, è sempre la stessa, che poi viene ripetuta dai genitori, quando si presentano ai colloqui: com’è possibile recuperare? Una domanda semplice, che non ha una risposta altrettanto semplice. Non si può andare a doposcuola per migliorare la propria forma espressiva; si può solo iniziare un lungo cammino fatto di letture e di esercizi di scrittura.

I risultati arrivano, ma solo dopo molti mesi, se c’è la necessaria costanza. Scrivere, come tutte le abilità, ha bisogno di esercizio. Sarebbe come pretendere di saltare in alto oltre i due metri al primo tentativo o di correre per novanta minuti in una partita di calcio, senza mai essersi allenati. C’è bisogno di pratica, di esercizio continuo. Ecco perché molti diventano analfabeti di ritorno, pur avendo una laurea nel proprio cassetto. Semplicemente, molti non scrivono più da anni, o si limitano a formule stereotipate.

Nelle scuole pubbliche italiane si scrive poco, limitandosi, spesso, ai soli compiti in classe, non più di tre a quadrimestre; non c’è né tempo né voglia di fare di più. Gli studenti si annoiano a scrivere, i docenti non hanno alcuna intenzione di correggere venticinque lavori. In seguito, poi, vengono meno anche i compiti in classe.

Per questo motivo, trovare delle persone che si esprimono correttamente in forma scritta, non è facile. Tutto ciò renderà sempre più indispensabile creare, su vasta scala, delle Scuole di Scrittura, e qualcosa del genere è già avvenuto in alcune università. Queste Scuole non mireranno tanto a creare dei nuovi Buzzati o Bufalino, dei maestri della penna, insomma, quanto a fornire delle competenze di base nell’uso dell’italiano scritto.

In questo senso, siamo convinti che la Scuola di San Severo abbia dato il proprio contributo, stimolando e aiutando tutti, frequentanti e non, in modo indiretto e diretto, ad un uso più consapevole e preciso dell’Italiano.

Proprio in quest’ottica, la nostra Scuola ha modificato leggermente il proprio nome, eliminando, quest’anno, come ricordato in apertura dell’Introduzione, l’aggettivo “creativa”.  Si punta, insomma, ad un lavoro flessibile, adatto alle esigenze degli allievi che hanno realizzato le composizioni pubblicate in questa antologia, ma consono anche ai bisogni di coloro che si accorgono di certe lacune o di certi impacci dovuti alla ruggine dell’inattività.

     D’altra parte, non si può non registrare con soddisfazione una nuova ventata di attenzione verso l’Italiano. Dei dati recenti hanno sottolineato il notevole successo che la lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio sta riscotendo in tutto il mondo. L’Italiano è tra le lingue più studiate in assoluto, e non si tratta più, o soltanto, dei figli degli emigrati, ma di persone che avvertono il fascino della nostra lingua di cultura, del nostro duttile strumento, che apre le porte alla comprensione dell’idioma parlato nella nazione che possiede i due terzi dei beni artistici del mondo.

Un dato, quest’ultimo, impressionante, ma che troppo spesso viene dimenticato proprio da chi meno dovrebbe farlo, ossia da noi italiani.

Questa nuova giovinezza dell’Italiano ci offre il proverbiale vento favorevole e deve riempirci di orgoglio, spronandoci ad un uso sempre più preciso e consapevole.

Anche a livello istituzionale avvertiamo i segni di un rinnovato interesse verso il nostro patrimonio ideale e culturale. Non si tratta solo dell’inno di Mameli: quella è solo la punta dell’iceberg; oggi stiamo forse trovando la giusta misura tra nazionalismo e globalizzazione, tra individualità e pluralità. Siamo Italiani, siamo Europei, siamo Cosmopoliti.

In questa chiave, anche certi dilemmi del passato stanno perdendo rapidamente di significato. La difesa dell’Italiano, ad esempio, non è più una lotta di retroguardia, tutt’altro; impariamo l’inglese, o, meglio, la lingua di zio Sam, intorno a cui ruota l’economia, apriamo i nostri orizzonti linguistici, perché proprio in questo modo troveremo delle motivazioni più forti per il nostro essere italiani, per il nostro orgoglio di connazionali di Dante, l’italiano dello scorso millennio, secondo un sondaggio di qualche anno fa.

Attraverso la conoscenza dell’altro ci rafforziamo nella nostra identità, senza chiusure, senza timori o demonizzazioni. Qualcuno riteneva e ritiene, sbagliando, che il contatto con gli altri debba avvenire annacquando l’individualità della nazione, livellandola verso il basso, togliendole l’anima, a tutto vantaggio della globalizzazione, intesa nel suo senso peggiore. Ed invece il cammino va nella direzione opposta, e la stessa costruzione europea sta assumendo il volto di un’Europa delle Nazioni, non più di un regno dell’indistinto e dell’appiattito, un’amorfa ed indigesta macedonia di popoli.

Questo rinnovato interesse verso la lingua nazionale, dunque, non poteva non trovare un riflesso e una sponda nella nostra Scuola di Scrittura, passando anche attraverso l’antologia che presentiamo, dove l’italiano conferma la sua vitalità, sia piegandosi al gergo giovanilistico che all’inserzione del vernacolo.

La prima sezione, Esordi, dedicata propriamente ai lavori degli allievi della Scuola, mostra una notevole varietà di soluzioni e di personalizzazioni, nell’ambito del genere del racconto, della narrazione di breve respiro in prosa, scelta sin dall’inizio. Esordi narrativi, beninteso, visto che tutti hanno già una loro personalità, in ambito culturale e professionale.

Sia che colpisca in primis la lingua, sia che invece l’elemento catalizzante sia rappresentato dall’argomento, le opere mostrano un approccio personale verso il racconto, offrendo molteplici motivi di interesse.

 

 

 

 

 

 

Gli autori si sono per lo più ispirati alla loro realtà quotidiana, al mondo in cui vivono, convinti del fatto che anche intorno a loro ci sono tanti esempi, tante storie da raccontare, mostrando la capacità di calare in questo ambito, in modo originale, i temi di sempre, le esperienze, i problemi, i dubbi, le gioie, le angosce, i ricordi. Il tutto, poi, con delle note caratterizzanti, che non possono sfuggire anche al primo impatto con la lettura.

Si pensi, in Firenze o morte!, all’attenzione riservata ai dialoghi, ed in particolare alle parole del protagonista, balbuziente e alle prese con una ragazza giunta da fuori, sulla quale vorrebbe fare colpo. E’ una situazione universale, nella quale in tanti ci siamo trovati, da giovani, una sorta di classico della vita provinciale, impreziosita dal piacevole e garbato umorismo, che sostiene l’ampio racconto fino alla fine.

Anche in Io sto bene fa la sua comparsa una forestiera, ma la realtà di un rapporto difficile con l’esistenza pone sullo stesso piano i personaggi, mentre la lingua si apre agli intercalari e alle esclamazioni dell’uso quotidiano, sostenendo le qualità descrittive e introspettive.

Parlavamo del dialetto. Nel racconto successivo, Storie di voci in subbasso, la presenza del vernacolo è una nota vistosa, ma mai esteriore, legata com’è al mondo dell’autrice, che rende la pagina densa e problematica, costringendo il lettore a rallentare, fino alla fine.

Ne Il gatto conteso si può cogliere, tra l’altro, il crescere di attenzioni verso questo felino, che ha trovato di recente riscontro, oltre che nei nomi citati nell’introduzione al racconto, anche nella riscoperta di un lavoro, da poco riedito, del francese Paradis de Moncrif, vissuto tra Sei e Settecento, che ha scritto una  preziosa Storia dei gatti. Il felino, insomma, sta prendendo la sua rivincita sul cane.

La rapina ci regala una pagina di cronaca provinciale, in cui l’elemento inconsueto, agli occhi dei personaggi, è la presenza di una donna carabiniere. In Il Santo Vendicatore, invece, l’inquieto e sentenzioso spaziare nel tempo forma un altro racconto che richiede dei ritmi particolarmente lenti di lettura, prima di passare a Pazzamente, con la sua vivace ricostruzione di un incontro sentimentale sbagliato, con le sue aperture al linguaggio giovanilistico.     

Approcci ed esiti diversi, dunque, che offrono un ampio squarcio sulla creatività della nostra terra.

Nella seconda sezione dell’antologia, invece, si è voluto offrire anche un altro volto dell’operosità cittadina, con opere di persone che hanno già pubblicato nell’ambito letterario. Lo scrivente, in qualità di coordinatore della Scuola, ed Enzo Verrengia, in qualità di docente, hanno voluto, per così dire, accompagnare gli allievi fino in fondo, scendendo anche loro nell’agone, esponendosi al giudizio dei lettori.

Di qui i rispettivi racconti, che si affiancano a quello toccante di Armando Perna, Quel bambino divino era in mezzo a noi, e ad un vero e proprio omaggio alla tradizione, rappresentato da un racconto inedito di Umberto Fraccacreta, La signora Giovanna. Un modo, come si è già detto, per saldare tutte le dimensioni temporali, in nome della letteratura e dei nostri valori più alti di cultura e di civiltà.

 

 

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