IL LIBRO

IL GARGANO DI IERI TERRA SCONOSCIUTA

 

 

        Nel 1904 le Visioni italiche di Giulio Ferrari (1858–1934), pittore e studioso d’arte, sfiorarono la Puglia, il Tavoliere e il Gargano. A poco più di un secolo dalla pubblicazione di quel volume l’italianista Francesco Giuliani con il suo Il piano infuocato e lo sconosciuto Gargano (pubblicato da Felice Miranda Editore) analizza l’opera di Ferrari, continuando un meritorio lavoro di ricerca sui viaggiatori che hanno attraversato e raccontato quella Puglia estranea al Grand Tour e sostanzialmente sconosciuta fino all’Ottocento.

        L’autore, spiega Giuliani, è un esteta, un artista attento a paesaggi e scorci della Capitanata, ma anche un osservatore fornito di una viva sensibilità sociale; siamo di fronte, dice, a un tipico liberale dell’Italia postunitaria, avverso sia alle rivendicazioni temporali della Chiesa, che a quelli che considera i nuovi demagoghi, accusati di perdere di vista la concretezza della realtà. Per rendere al meglio lo sguardo di Ferrari, Giuliani al termine del suo saggio critico dà la parola a un capitolo delle Visioni, il quarto, in riproduzione anastatica, corredato da delicati dipinti e disegni dell’autore.

         “Non ho visto plaga in Italia – scrive Ferrari– che offra simile aspetto, come il Tavoliere delle Puglie, è un terreno che sembra tenere sotto di sé un vulcano. Allorché maturano le messi, la fioritura dei papaveri è così ricca da apparire come gigantesche macchie sanguigne su quel tappeto d’oro”. A Montesantangelo, tutt’una parola, il viaggiatore vede pellegrini “quasi tutti autentici, quasi tutti poveri, quasi tutti colla cieca e serena fede dell’uomo medievale” e per raggiungere la “derelitta” Vieste impiega nove ore per l’assenza di un servizio di carrozza postale.

        Peschici è ritratta con i suoi “antri fiocamente illuminati, dalle bassissime porte come le hanno i porcili”. “Strani paesi, abbandoni morali che è dovere nostro correggere – conclude Ferrari – non con isperate panacee di leggi, ma colla duratura azione della propaganda senza orpelli di frasi”.

            IGNAZIO MINERVA

        La Repubblica, ed. Bari, 15 febbraio 2007, p. XVI.  

 

 

 

 

IL PIANO INFUOCATO E LO SCONOSCIUTO GARGANO

La Capitanata nelle Visioni Italiche di Giulio Ferrari

 

   

        «Se da una parte il mondo sta diventando sempre più piccolo ed uniforme, in un processo difficile e dai risvolti inquietanti, dall’altra, nelle persone più sensibili e riflessive, si diffonde il timore di perdere ogni punto di riferimento, di scoprirsi dei meri ingranaggi nelle mani del consumismo e dei manipolatori del pensiero. Per dirla con altri termini, nell’Occidente sta crescendo la paura di smarrire l’anima, e per questo motivo si guarda con sempre maggiore interesse al proprio passato, alla storia locale, alle tradizioni, alle peculiarità che solo qualche decennio fa fornivano ad una comunità una propria forte identità».

        Non è, questo, che un breve stralcio tratto dalle note introduttive con cui Francesco Giuliani presenta al grande pubblico il suo nuovo libro: IL PIANO INFUOCATO E LO SCONOSCIUTO GARGANO – La Capitanata nelle Visioni Italiche di Giulio Ferrari (Editore Felice Miranda – San Severo, 2006). Ma non esiterei a definirlo uno stralcio di congruenza confessionale, un brano di intima sintesi, insomma, dal quale emerge, con le ansie d’impegno progettuale per un irrinunciabile recupero delle memorie, il ragionato convincimento dell’italianista sanseverese che qualunque cosa resti del passato, che sia  cronaca di un viaggio, monumento insigne o frammento di costume, è riflesso della storia nostra, preziosa eredità pervenutaci spesso per travagliati rivoli; ma è anche immagine, quasi speculare, di realtà che sostanzialmente non mutano nel tempo, se non nei tratti più superficiali ed appariscenti.  

        Sicché, l’attuale diffusa viabilità e i moderni mezzi di coltivazione dell’assolato Tavoliere di Puglia, la nuova veste urbanistica indossata dai paesi garganici (che in taluni casi, ahimé, ha prodotto squarci irreversibili sull’antico abitato), ma anche il superamento dei fenomeni epidemici, primo fra tutti il flagello della malaria, se osservati non soltanto come scontati traguardi di evoluzione civile, si traducono in resoconti di vita umana la cui intelaiatura è nelle sconfitte e nei guadagni di intere generazioni di uomini che, come noi, guardavano ad un possibile futuro migliore.

        E il libro in argomento, le cui tracce si erano perdute nel tempo, ma che gli accurati studi e l’educato senso ad una meticolosa euristica bibliografica hanno consentito a Francesco Giuliani di ricondurre negli scaffali delle opere vive, ha il dono di ridisegnare nella mente del lettore il fascino di un mondo in declino e il degrado sociale di una terra, la Capitanata, così com’era agli albori del secolo Ventesimo, quando andava sedimentando, grado a grado, e in pochi petti, una sorta di alchimia di nuove speranze politiche, ma si viaggiava tuttavia ancora a dorso di mulo, si beveva insana acqua di cisterna, e si moriva per oscuri rigurgiti malarici.

        Contrariamente alle corpose precedenti pubblicazioni di Francesco Giuliani, il volume Il Piano infuocato e lo sconosciuto Gargano ha dimensioni contenute, in quanto è soltanto il quarto capitolo dell’intera opera di Giulio Ferrari, Visioni Italiche, che il nostro italianista scrittore ha estrapolato da un contesto molto più ampio. Difatti, il volume del Ferrari, edito nel 1904 dalla famosa casa milanese Ulrico Hoepli (300 pagine in 12 capitoli con corredo di 310 pregiate illustrazioni), descrive brani di un itinerario che dalla Sicilia conduce al Piemonte, e riserva ai luoghi della Capitanata circa 40 pagine contenute nel quarto capitolo.

        Giuliani, dal canto suo, nell’esteso ed interessante saggio critico che precede la riproduzione anastatica dello scritto di nostra appartenenza, non trascura di volgere l’occhio, qua e là, ai diversi angoli della Penisola visitati dal Ferrari, né omette di tracciare un analitico profilo biografico dell’autore di Visioni Italiche.  Sappiamo, così, che il Ferrari nasce a Reggio Emilia nel 1858 e si spegne a Roma nel 1934. Per vocazione innata, abbandona i corsi universitari iniziati presso la facoltà di Medicina, per dedicarsi agli studi artistici. E nell’ambito delle Belle Arti, s’incanalerà nella carriera di docente che, per bisogni professionali, lo vedrà residente in diversi luoghi dell’ancor giovane Regno d’Italia. Un “Regno Sabaudo” per il quale l’insegnante-artista–scrittore nutre sentimenti di larghe speranze per le future sorti del Paese, non omettendo, ove necessario, di manifestare nella pagina le sue personali inclinazioni verso idee liberali. «Un miglior governo di quella ricchezza di terreni indubbiamente si affermerà – si legge in un passo dedicato all’abbandono del Tavoliere di Puglia susseguente all’affrancamento dalla servitù della “Dogana della mena delle pecore” - : correttivi di legge e soprattutto iniziative individuali […] e la grande opera dell’acquedotto, riusciranno a meglio ordinare la pastorizia, a sviluppare razionalmente altre forme di industria agricola e si avrà il miracolo di ammodernare la virgiliana bellezza del mandriano, unendola a più moderna forma di governo dei campi».

        Si manifesta, così, sulla scia di convincimenti di derivazione anche carducciana, la figura di un «tipico liberale dell’Italia post-unitaria, avverso alle rivendicazioni temporali della Chiesa – scrive Giuliani -, ma anche ostile a quelli che considera i nuovi demagoghi, accusati di perdere di vista la concretezza della realtà». 

        Certamente, come il nostro italianista fa osservare, la conoscenza approfondita che Ferrari ha dei problemi che angustiano la Capitanata agli esordi del ‘900, con ogni evidenza è frutto della sua residenza nel capoluogo dauno in qualità di insegnante presso le scuole normali. E dunque, dall’articolato viaggio attraverso la nostra provincia, che l’emiliano compie con disparati mezzi: treno, diligenza, mulo, scaturiscono pagine di intensa emotività e di interessanti richiami storici. «…egli  non si ferma alla descrizione – opportunamente annota Giuliani -, non ritaglia degli ambiti ristretti alla sua visuale, da artista ingenuo, pago dell’estetica, ma mira anche a far conoscere dei problemi, a favorire la loro idonea soluzione».

        Pagine di intensa emotività, dicevamo, le quali, mano a mano che alla bellezza pittorica degli struggenti paesaggi garganici interviene come contrappeso la descrizione della squallida realtà di una chiusa e lontana arretratezza sociale, muovono il nostro senso di filiale appartenenza ad inchinarsi al cospetto delle privazioni e delle pene sofferte dai maggiori nostri. Esistenze senza clamori, in lotta perenne contro fame e malattie, che si consumavano all’ombra di stretti ed affogati vicoli, quei muti chiassuoli, quelle angustiae itinerum che Tacito ricorda e che forse – per dirla con Benedetto Croce - erano il rifugio, prima ancora che dei corpi, delle anime arrese.

        Un bel libro, insomma, che accresce i meriti di una sorta di missione educativa e di recupero storico che Francesco Giuliani ha assunto da alcun tempo. Un bel libro, peraltro, impreziosito dal nitore dei caratteri e degli stupendi disegni ed immagini dipinte (tutte opere di Giulio Ferrari), che l’editore Miranda ha saputo riprodurre con ammirevole consapevolezza di mestiere.

        FRANCESCO FERRANTE     

 

        

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