ALCUNE RECENSIONI SUI LIBRI DI FRANCESCO GIULIANI                         

 

 

La rassegna della letteratura italiana, Firenze, gennaio-giugno 2001, pag. 322.

FRANCESCO GIULIANI, L'acqua e l'Alpe. Gli Idilli alpini del Carducci, San Severo (Foggia), Miranda, 1999, pp. 160.

 

        Accurata perlustrazione storico-critica degli Idillii alpini (cinque componimenti apparsi con questo titolo la prima volta sulla «Nuova Antologia» del 16 novembre 1898: In riva al Lys, L'ostessa di Gaby, Esequie della guida E.R., Sant'Abbondio, Elegia del monte Spluga) che consente tra l'altro all'A. di rimeditare il tema della montagna, quello dei rapporti di Carducci con Severino Ferrari, quello dei rapporti Carducci-Leopardi, ecc.

        Soprattutto, G. propone una persuasiva rilettura di Mezzogiorno alpino, spiegando anche i motivi della sua esclusione dal gruppo degli idilli alpini. Ma ognuno di questi componimenti viene rivisto alla luce di tutta la documentazione disponibile, inquadrato storicamente ed analizzato dal punto di vista metrico, linguistico, poetico, senza dimenticare o trascurare i più significativi risultati degli studi critici sull'argomento.

            ANTONIO CARRANNANTE 

 

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La rassegna della letteratura italiana, Firenze, gennaio-giugno 2002, pp. 375-376.

FRANCESCO GIULIANI, Il rondò, le torri e la Certosa. Letture dall'ultimo Carducci.

Prefazione di Giuseppe De Matteis, San Severo (Foggia), Miranda, 2001, pp. 168.

   

          Nella Prefazione a questo denso volumetto, De M. pone l'esigenza di una rivisitazione critica di Carducci; e in particolare del Carducci «più intimo, più raccolto e malinconico» che convive, all'interno di Rime e ritmi (ma non solo), «accanto al poeta vate, celebratore di virtù morali e civili per la Patria». Proprio a questa esigenza cerca di rispondere il libro di G. (noto agli studiosi di Carducci per suoi precedenti lavori; e cfr. almeno questa Rassegna: 2001, 1, p. 322) che prende in esame quattro poesie dell'ultimo Carducci: Alla signorina Maria A.; Nel chiostro del Santo; Jaufré Rudel; Presso una Certosa. Si tratta di una personale rilettura equilibrata e convincente, che utilizzando tutti i risultati della critica più avvertita, e ponendosi con decisione nel solco segnato da Luigi Russo col suo volume su Carducci senza retorica (su cui cfr. questa Rassegna: 2001, 2, pp. 627-628) ha il merito di investire quelle poesie d'una luce che se non è nuova, ha comunque tutto il gusto della novità. I versi Alla signorina Maria appaiono a G. come «una lirica di rarefatta e pregnante essenzialità, che scivola via, quasi inavvertita, lasciando nell'aria solo l'eco di una domanda, che si perde, lieve, confermando e prolungando l'atmosfera densa di malinconica grazia che permea il tutto».

        La seconda poesia studiata (di cui fornisce il testo del manoscritto, a p. 49), «dopo la considerazione della brevità dell'esistenza [...] si chiude con un desiderio d'assoluto, che si leva e si perde nell'infinito»; infinito che appare all'A. ben diverso da quello leopardiano: «è un "infinito" denso di ombre e di nubi, nel quale non è dolce naufragare [...]; al contrario: in esso si racchiude tutto ciò che non può essere conosciuto, che non ha tempo, che supera la finitezza umana, mettendola a dura prova».

        Nella terza poesia presa in esame (in cui Carducci «permea la rievocazione della storia di una dolcissima malinconia, che esprime l'ammirazione verso il trovatore e insieme la triste consapevolezza della sua fatale sconfitta»), l'A. vede l'eterno anelito dell'uomo a un sogno lontano d'amore e di fantasia; lo stesso anelito che riconosce paradossalmente in certe manifestazioni del mondo a noi contemporaneo, come internet. Comunque, i versi di Jaufré Rudel a giudizio di G. «possono tranquillamente essere affiancati ai migliori» di Carducci. Ed anche l'analisi di questa poesia «provenzale» è condotta da G. con molta attenzione dal versante «leopardiano» a quello «autobiografico», da quello metrico e linguistico a quello storico-erudito; e viene molto opportunamente «letta» anche alla luce del famoso discorso carducciano alla Palombella.

        Al centro d'ispirazione della quarta poesia studiata, Presso una Certosa, «c'è l'antico contrasto tra ombra e luce, tra morte e vita [...]; un contrasto che però ritorna trasformato, reso più delicato e sottile, più penetrante e vivo nel tessuto poetico». Presso una Certosa è per l'A., tra le più belle del Carducci: «uno straordinario e lucido testamento poetico».

        Approfitto dell'occasione per proporre tre minime integrazioni alle cose dette così bene da G. Parlando del rondò che apre Rime e ritmi, egli vede il precedente più significativo della malinconia che batte al cuore del poeta, nei versi di Mattinata di Rime nuove; e su questo siamo d'accordo; ma vorrei da parte mia ricordare la poesia immediatamente precedente», quella che «chiudeva» le Odi Barbare, Nevicata, con quegli altri uccelli raminghi che battono ai vetri appannati («Picchiano uccelli raminghi a' vetri appannati...»); e così la chiusura delle Odi barbare e l'apertura di Rime e ritmi acquistano, se non m'inganno, una più forte suggestione di circolarità.

        Attentissimo all'aggettivazione di Carducci, G. si sofferma sul viso «pensoso» di Maria, parvola crescente della quarta strofa di Nel chiostro del Santo; dove secondo me è possibile scorgere anche una reminiscenza, sia pure alla lontana (visto il contesto così diverso delle due liriche) del coro manzoniano Dagli atri muscosi, dai fòri cadenti, con la descrizione delle madri longobarde, che «i figli pensosi pensose guatar».

        Un accenno, infine, ai titoli di due di questi componimenti. Come «il santo» per antonomasia è la Basilica di Sant’Antonio di Padova, così "la Certosa" è e non può essere altro che la Certosa di Bologna, il cimitero dove riposavano persone care a Carducci e dove egli stesso sapeva sarebbe stato accolto. Nel titolo della lirica in questione (la) Certosa diventò "una" Certosa molto probabilmente per l’esigenza che il poeta dovette avvertire di rendere più generico, o meglio "universale", il suo stato d’animo: universalità cui avrebbe potuto nuocere una determinazione troppo precisa, topografica, della città.

         ANTONIO CARRANNANTE

 

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La Repubblica, Bari, 7 maggio 2004

"Affreschi di Puglia"

 

         Una ricerca letteraria che si intreccia con il territorio. Un percorso nel quale la Puglia offre l'occasione per la nascita di pagine di "ispirata letteratura". Dopo i "Viaggi letterari nella pianura", dove erano analizzate le opere di scrittori come Francesco De Sanctis e Mario Carli, Francesco Giuliani propone queste "Occasioni letterarie pugliesi" (pubblicate dalle Edizioni del Rosone nella collana Testimonianze, diretta da Benito Mundi). Qui il quadro è decisamente più ampio.

        Nell'affresco rientrano autori di varia provenienza: Edmondo De Amicis, Giovanni Pascoli e Riccardo Bacchelli, accanto ai pugliesi Pasquale Soccio e Franco Cassano. I saggi sono disposti in ordine cronologico. Si apre con una lettura di "Fortezza", una novella ottocentesca di De Amicis corredata dal testo originale; segue un intervento su un dialoghetto in prosa e due epigrafi del Pascoli scritti per partecipare al dolore dell'avvocato pugliese Giuseppe Leccisotti, prostrato dalla morte del figlio e della moglie. Il capitolo più lungo riguarda il Bacchelli garganico, una lettura critica di articoli e racconti che lo scrittore bolognese ha tratto dal suo viaggio sul Gargano del 1929. Di Soccio, invece, Giuliani esamina quello che viene considerato il suo libro più ispirato, "Gargano segreto" e un testo postumo, "Incontri memorabili", dedicato "ai suoi rapporti con i protagonisti del secolo da poco archiviato".

        L'ultimo nome, quello di Cassano (nato nelle Marche e barese d'adozione) porta nell'attualità. La sua presenza, è lo stesso Giuliani a riconoscerlo, può creare un iniziale sconcerto. La scelta del maestro del pensiero meridiano deriva non tanto dalla sua sensibilità per una geografia del meridione così ricca di echi, significati e suggestioni, quanto dal legame con Leopardi. Espresso dal saggio "Oltre il nulla. Studio su Giacomo Leopardi" (Laterza) nel quale mette in luce lo "sguardo da lontano" del poeta di Recanati e il suo insegnamento paradossale: "solo l'immaginazione potrà ricondurre gli uomini alla realtà".

          IGNAZIO MINERVA

 

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Gazzetta del Mezzogiorno, Bari, 2 dicembre 2002, p. 13.

"Capitanata nostalgica di poeti e critici"

 

        "Il rimpianto della terra d’origine persiste come culto dell'incanto vergine e malinconico delle proprie radici remote": è uno stralcio dalla prefazione di Domenico Cofano per Viaggi letterari nella pianura di Francesco Giuliani (Edizione del Rosone, pp. 274, euro 12,50). Rivelatore del senso e dello spirito che spingono l’autore a proporre una rilettura della Capitanata nella prosa d’arte e nella critica.

        Perno del volume, il racconto inedito di Umberto Fraccacreta, Le inseparabili, dove il fondatore di una San Severo fresca del collegamento con il Gargano tinge di Mediterraneo l’amicizia tra Mariù e Lina. "La comunione delle loro anime avrebbe potuto giovare a tutte e due, togliendo e dando all’una quello che mancava all’altra; ma se contemperamento non c’era, che avveniva?". Il poeta del Tavoliere viene qui riscoperto come appassionato narratore di sentimenti e di umori femminili colti nel pieno dei riti di passaggio dall’adolescenza alla giovinezza, mentre anche la pianura si è trasformata con la ferrovia. Viene in mente l’impressione di Victor Hugo dopo il suo primo viaggio in treno: "Il paesaggio si è messo in movimento".

       Quasi agli antipodi, la stessa cittadina ribattezzata da Emanuele Italia San Sebastiano in Sud, il racconto conclusivo del volume. Qui Giuliani introduce un narratore vivente ed estraneo alla Capitanata, cui lo lega comunque la residenza ormai stanziale di una vita. "San Sebastiano è un enorme gregge di case aggruppate dentro un immobile sogno".

       Di tutt'altro tono, l'ottimismo futurista di Mario Carli accordato sul clima del ventennio: «Nel risveglio rigoglioso della mia città vedo l'immagine esatta della rinascita vigorosa dell'Italia tutta".

       Nel mezzo, lo sguardo nostalgico ma realista di Vittorio Marchese, funzionario al Ministero della Pubblica Istruzione e narratore in privato. Nelle sue parole, San Severo è: "…un grosso conglomerato rurale, che, per numero di abitanti, poteva anche essere una cittadina…". Completano la prospettiva del volume due saggi, uno sulle feste carducciane del 1907 a San Severo e l’altro sull’ultimo capitolo del Viaggio elettorale di De Sanctis.

        SERGIO FORTIS (ENZO VERRENGIA)

 

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Gazzetta del Mezzogiorno, Bari, 10 gennaio 2005

Cinque personaggi per «Occasioni letterarie pugliesi»

 

        Il libro di Francesco Giuliani, Occasioni letterarie pugliesi, riunisce sul punto d'intersezione geografica della Puglia cinque densi capitoli su altrettanti scrittori e studiosi che hanno preso da quella regione motivi ed humus. Si tratta di un percorso molto particolare, giacché il libro riunisce personalità che vanno dal secondo Ottocento alla fine del '900 (De Amicis, Pascoli, Bacchelli, Soccio, Cassano) e che hanno variamente sentito il loro rapporto con la Puglia - o il cui rapporto è stato dettato addirittura da pura accidentalità, come nel caso del Pascoli.

      Sta di fatto che la storia e la geografia s'intrecciano qui in stretta connessione: vicende del periodo postunitario, spirito di un popolo, bellezze superbe della natura, nuovo orizzonte del Mezzogiorno, dialoga idealmente chi pugliese non è (come i primi tre scrittori) e chi invece è radicato per natali e residenza su questa terra (Soccio e Cassano).

        Forte della sua passione storico-letteraria e della sua acribia filologica, Giuliani ci guida a rileggere Fortezza di De Amicis e Il brigante di Tacca del Lupo di Bacchelli. Nel primo domina il sentimento dell'ancora recente vittoria unitaria: l'amore di un carabiniere del nord per una contadina del sud ripete per noi un invito costante dello scrittore De Amicis. Singolare è invece la vicenda che segnò il rapporto di Pascoli con la Puglia: fu grazie alla richiesta dell'avvocato Leccisotti di Torremaggiore, che alla fine ottenne un tributo di poetica pietà per la quasi contemporanea morte della moglie e del figlio.

        La figura dell'umanista Pasquale Soccio, scomparso nel 2001 a 94 anni, dopo una vita dedicata al suo Vico e agli studi storici, filosofici e pedagogici, ha varcato da tempo i confini regionali. Il suo Gargano segreto resta una pietra miliare per scoprire il mistero di una terra tanto amata fino a farne sostanza costante di evocazione poetica e di intima compenetrazione psicologica. Idealmente, l'insegnamento di Soccio si riflette nel «pensiero meridiano» del sociologo barese Franco Cassano: anche quest'ultimo non fa altro che ribadire l'imprescindibilità di quei valori che hanno caratterizzato l'antica civiltà pugliese e meridionale. Umanesimo classico e umanesimo civile si congiungono, così, fortemente nella proposta di queste «occasioni» di Giuliani e noi gliene siamo più che grati.

        SERGIO D'AMARO

 

 

“Il Provinciale”, Foggia, novembre 2004, pag. 11.

“OCCASIONI LETTERARIE PUGLIESI” di F. GIULIANI

I GRANDI AUTORI RACCONTANO LA NOSTRA TERRA

 

Entrare in una libreria, oggi, è come affacciarsi nel magazzino di un rigattiere. In mezzo a tanto ciarpame devi avere il tempo, la pazienta e l'occhio giusto per poter estrarre con la punta delle dita l'eventuale oggetto di valore: rappresentato, nel nostro caso, dal vero libro. Seppellito da quintali di carta inutilmente stampata, libretti erotici, volumi di barzellette sconce, poesie inaudite, e centinaia di pagine per spiegare magari come si facevano una volta i catini di zinco, il vero libro è una povera pepita da scegliere con la costanza indefessa dei vecchi cercatori d'oro del Klondike.

Oggi nella scelta del vero libro consigliamo, oltre ai classici, i testi di storia e di saggistica, con essi, infatti, si rischia di meno. Meglio poi se, per l'approfondimento di certi attori e correnti letterarie, il saggista di turno sia uno zelante, ostinato, profondamente pignolo nelle sue analisi. Uno di quelli, per intenderci, che, con la penna in mano, si va ad impicciare di chi sa quali dettagli, dando poi ad essi chissà quale importanza. Uno di quei saggisti, insomma, che si lascia coinvolgere dall'autore a tal punto da poter spiegare e dispiegare aspetti sino allora sconosciuti, addirittura invisibili: il «non detto» quasi sempre contenuto nelle opere di un certo pregio. Un saggista così, è quello che serve al lettore.

Un saggista così, scrive da tempo a San Severo. Francesco Giuliani è giovane, ma ha una poderosa mole di studi alle sue spalle. Questo è di per sé già abbastanza sorprendente: non è facile, infatti, scrivere saggi di trecento motivate e circostanziate pagine. Ricordia­mo che Francesco Giuliani nei suoi libri si è occupato di poesia (Umberto Fraccacreta, Mario Carli, Carducci, Pascoli), letteratura (Verga), storia della letteratura (De Sanctis), e dopo Viaggi letterari nella pianura, il suo penultimo studio, ecco Occasioni letterarie pugliesi. Il libro, da poco uscito per le Edizioni del Rosone, nella collana Testimonianze, diretta da Benito Mundi, è una ghiotta preda per studenti e studiosi che trovano riunite nel volume esperienze letterarie pugliesi di diversi autori (De Amicis, Pascoli, Bacchelli, Soccio, Cassano). Ma Giuliani stesso è ghiotto di testimonianze che riguardano, in qualche modo, la nostra terra. E’ un invito a nozze per lui sapere che un grande autore, magari non delle nostre parti, si sia occupato, anche con un solo scritto, dei nostri luoghi. Così, in questo ultimo sensibile e puntiglioso studio, Giuliani continua a prendere il largo nell'esegesi della narrativa di quei nomi illustri che hanno percorso con le parole la nostra regione.

Molto approfondito è il capitolo del «viaggio sentimentale» di Pasquale Soccio, forse la migliore analisi su Gargano segreto sino ad oggi elaborata, e interessantissime risultano le comparazioni di Giuliani nel «Bacchelli garganico». Sono i due capitoli più corposi, ma anche i più profondi, delle Occasioni letterarie pugliesi.

La religiosità di Bacchelli ci appare affascinante nella descrizione fatta da Giuliani, le pagine del paragrafo «L'odio dei pastori» evidenziano la notevole capacità che ha l'autore nel saper romanzare quella prosa analitica che è tipica della pubblicazione saggistica. È una dote non comune questa; in virtù della quale Giuliani fornisce al lettore quelle informazioni necessarie mettendolo in una condizione di assoluta godibilità, in un contesto che, essendo critico, non dovrebbe certo possedere la scansione coinvolgente del romanzo.

In fondo, in ultima analisi, le Occasioni letterarie pugliesi sembrano anche buone occasioni per l'italianista di San Severo: un'altra occasione per poter placare quella sua passione di ricercatore letterario sapendo scrivere, con i suoi dettagli, un vero libro.

            ENRICO FRACCACRETA

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"L'indice dei libri del mese", dicembre 2006, p. 37

 ANTONIO BELTRAMELLI, IL GARGANO

        Il Gargano aiuta Beltramelli, che a distanza secolare vede richiamato in vita due volte questo libro del 1907: da Boni di Bologna nel 1994, e ora nella provincia stessa dell’area visitata. E’ un libro di viaggio non certo sufficiente a rialzare le sorti letterarie dell’autore, retrocesso da minore a minimo del Novecento, non estranea l’ombra della sua devozione fascista. Ma il volume è anteriore a tale inclinazione. Se restringiamo l’ottica a quel trascurato filone periegetico che è il viaggio nel Gargano, il lavoro acquista rilievo e offre appigli per un recupero, alla luce altresì dell’opera di reporter nazionale ed estero svolta da Beltramelli.

        Il libro fonda la moderna letteratura di viaggio relativa al tour garganico, riprendendo le fila dall’antesignano dell’Ottocento Gregorovius, ma imprimendogli una vena mista di paesaggismo, passione esplorativa, risucchio nel remoto, gusto dell’arcaico, che sarà elaborata da altri viaggiatori del Promontorio (da ricordare almeno due, Bacchelli e Arthur Miller). Beltramelli ha il merito di non fare oleografia. Fornisce dati storici. Al lirico cede con misura. Riporta in maniera obiettiva, perfino cruda, per esempio, le condizioni miserevoli della gente, il sudiciume degli ambienti, l’inesistenza di alloggi, il disagio negli spostamenti, particolare per lui, munito di ingombranti attrezzature fotografiche. Ma non è un viaggiatore fastidioso o prevenuto: mostra simpatia per i destini oscuri, è suggestionato dalla solennità ancestrale dei pastori, apprezza la grazia delle fanciulle, guarda sospeso la devozione dei pellegrini in lacrime. Il tutto in buon amalgama di scrittura, pur senza punte di prosa eccelsa. Il curatore Giuliani ripropone quest’opera in edizione dignitosa, arricchita di alcune delle foto che illustrarono quella originaria, e puntella con solida introduzione un Beltramelli ancora leggibile.

        COSMA SIANI 

       

 

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La Gazzetta del Mezzogiorno, Bari, 8 novembre 2009, pp. 22-23

TRE PELLEGRINI DI PUGLIA NEL NOVECENTO

 

Nel volume “Viaggi” di Francesco Giuliani. Così le olive del Gargano sfamarono un’esule polacca

Le annotazioni del barone di origine altamurana Nicola Serena di Lapigio, di Kazimiera Alberti e di Cesare Brandi

 

         L’opera di scavo di Francesco Giuliani tra archivi e biblioteche non conosce sosta. Giuliani indaga ugualmente tra le carte degli scrittori e tra vecchie edizioni ingiallite, portando alla luce e commentandoli attentamente preziosi capitoli di storia letteraria e opere quasi dimenticate di autori che meriterebbero un rilievo ben diverso. Produttiva, dunque, questa ricerca di Giuliani, che stavolta si sofferma, nei suoi Viaggi novecenteschi in terra di Puglia, su tre attenti osservatori, tra cui uno molto noto, Cesare Brandi (incantato dalle terre pugliesi) e due di diversa origine: Nicola Serena di Lapigio, pugliese, e Kazimiera Alberti (nata Szymanska), di origine polacca.
         Il viaggiatore più antico è Serena di Lapigio, che attraversa in una traballante e sbuffante «autocorriera» il percorso che va da Apricena a Rodi Garganica (più o meno gli stessi estremi odeporici del forlivese Antonio Beltramelli). Nicola Serena di Lapigio, di origine altamurana ma con ascendenze anche garganiche (un pezzo del suo Dna lo ritroviamo a Monte S. Angelo), era barone e figlio di un ex sottosegretario di Stato agli Interni, collaboratore di alcune importanti riviste e condirettore della «Rassegna Pugliese». In realtà egli compie, nel suo libro Panorami garganici, un doppio viaggio, negli anni ‘10 e negli anni ‘30, mettendo a frutto così il risultato di una rivisitazione che può portare ad interessanti raffronti.
         Quanto fosse il Gargano poco conosciuto ancora ai primi del ‘900 (quando anche il citato Beltramelli era stato costretto a sentirsi un vero pioniere di quelle strade infide e scomodissime) lo rivela anche la necessità che sente l’autore di scrivere il toponimo con l’accento sulla seconda «a». Ben per noi, comunque, che il nostro barone (autore anche di non memorabili racconti) senta per la sua terra una corrente di forte simpatia e di aperta disponibilità. Quasi tutte le sue pagine, in una lingua abbastanza scorrevole e a tratti anche poeticamente atteggiata, sono propense a sottolineare le bellezze dei luoghi.
         Vero tripudio di lodi Serena di Lapigio riserva a Rodi e a Monte S. Angelo: l’una per la felicità dei luoghi, l’altra per l’importanza del santuario micaelico. La sua curiosità si spinge alle Tremiti, allora malamente raggiungibili e sede di una colonia di coatti (l’autore ricorda anche i deportati libici durante la guerra del 1911-12).
         Se il resoconto di Serena di Lapigio sarà elogiato anche da Michele Vocino per la sua informata bibliografia, il diario di viaggio di Kazimiera Alberti ha il significato di una rinascita dopo i crudeli anni di guerra patiti dall’autrice. Lo afferma esplicitamente lei stessa quando scrive che la Puglia è la «terra che dopo gli inverni polacchi di guerra per prima mi ha riscaldato con il suo sole, mi ha riverito con i suoi mandorli in fiore e, dopo la fame della guerra, mi ha saziato con le sue grasse olive». La Alberti scrive negli anni in cui il Gargano e la Puglia vengono sottoposti al vaglio di analisi stringenti (basti pensare ai libri di Tommaso Fiore). Ma lo sguardo della nostra scrittrice è ben diverso, passa attraverso il filtro di una sensibilità più portata all’accensione lirica, alla pennellata elegiaca e alle sfumature cromatiche: il campanile del santuario di Monte S. Angelo diventa così l’«antenna di una radio spirituale», si trasfigura nel simbolo di quella pace, di quel rinnovamento umano invocato da chi è scampato agli orrori della guerra e della deportazione: finanche le scale di accesso alla grotta dell’Angelo stimolano la memoria di quelle dei tragici rifugi antiaerei.
         Le pagine del Pellegrino di Puglia del grande critico toscano Cesare Brandi aggiungono altre pepite d’oro al libro di Giuliani. Qui non c’è più solo il viaggiatore, ma una penna sensibilissima alle sorprese della Puglia, di cui rivela le pieghe più nascoste e gli angoli inediti. È un invito rinnovato a conoscere tutto intero questo vero e proprio romanzo geografico.

SERGIO D'AMARO

 

 

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“La Gazzetta del Mezzogiorno”, Bari, 23 gennaio 2012, pp. 16-17

 

FIOR DA FIORE DAL GARGANO CHE FU NEI TESTI DI VIAGGIATORI E SCRITTORI

        

         Gargano, garganici, scrittori del Tavoliere e della Capitanata di ieri e di oggi, venuti da lontano o andati via da queste contrade, affollano l’ultima avventurosa indagine letteraria di Francesco Giuliani, critico e saggista di San Severo. Anche il suo Nel Nord della Puglia è uscito nella collana «Testimonianze» voluta da Benito Mundi, venuto da poco a mancare, presso l’editore Il Rosone di Foggia. È un libro denso e pieno di notizie, mirato soprattutto a far conoscere un angolo ancora appartato della regione e solo da qualche anno conquistato ad un più netto sviluppo, grazie al turismo estivo e religioso.

         Giuliani è un cercatore di pepite e uno scopritore di antichi gioielli dimenticati. Scova autori praticamente sconosciuti, porta alla luce articoli e racconti riemersi dall’oblio e seppelliti in vecchie biblioteche.

        Stavolta, tra gli incontri più interessanti, c’è la conferenza, Lo Sperone d’Italia, del giornalista viestano, naturalizzato napoletano, Francesco Dell’Erba, conferenza che egli tenne al Circolo Pugliese di Napoli nel marzo 1906. Il piglio più veloce del giornalista si coniuga ad una svelta ma attenta analisi delle condizioni fisiche e sociali del Promontorio. In questo è aiutato dalle fonti storiche che utilizza, dalla Fisica Appula di Michelangelo Manicone alla Monografìa generale del Promontorio Gargano di Giuseppe De Leonardis, alle Memorie storiche, politiche, ecclesiastiche della città di Vieste del suo compaesano settecentesco Vincenzo Giuliani.

           È un viaggio, quello compiuto da Dell’Erba, che apre, proprio all’inizio del Novecento, una serie di racconti odeporici di firme più illustri: da Antonio Beltramelli ad Antonio Baldini, da Giulio Ferrari a Riccardo Bacchelli, che si fermò sul Gargano per qualche tempo, vivamente impressionato dalla mole straordinaria di ex voto e dalle leggende brigantesche di cui testimoniò in Il brigante di Tacca del Lupo. A Roma operarono successivamente due illustri figli del Gargano, Michele Vocino di Peschici e Alfredo Petrucci di San Nicandro. Giuliani ne recupera sparsi cammei dedicati alla loro terra, mettendone in risalto il ricco sentimento di pietas e una fedele memoria.

           La terza parte del libro investiga su tempi più recenti, senza dimenticare però di riservarci subito una sorpresa. Si tratta dell'opera di un prolifico poligrafo campano, Bonaventura Gargiulo, che, divenuto vescovo di San Severo agli inizi del ‘900, ci consegna il resoconto di un suo viaggio Da Sansevero a Roma e viceversa, pubblicato a Napoli nel 1899 e offerto a puntate in anteprima su un giornale da lui diretto, «L’Ape Cattolica». Il viaggio, compiuto due anni prima, fu occasionato da un invito fatto a mons. Gargiulo dal papa Leone XIII per assistere alla canonizzazione dei santi Antonio Zaccaria, fondatore dei Barnabiti, e Pietro Fourier, fondatore degli Agostiniani del Salvatore.

         Gargiulo ha la penna facile e non sa nascondersi punte graffianti quando annota la condotta dei suoi compagni di treno: «Ecco che un guardatreno si affaccia, osserva, indi grida: Signori, qui, qui, c’è posto; e fa salire una coppia lombarda con una servetta, due cagnolini di Bordeaux, una gabbia con uccelli, e una mucchia di valigie, borse, barattoli con altri oggetti di viaggio. Che tipi! Il quarto viaggiatore era un automa: entrò muto, viaggiò muto, discese muto a Cassino».

           Su altri scaffali troviamo altre epoche: come quella di un Pasquale Soccio a contatto con i paesi del Subappennino, o come quella molto più vicina dei giovani Mariateresa Di Lascia ed Enrico Fraccacreta. Si tratta di una Capitanata molto cambiata, abituata ormai ad altre atmosfere e agli orizzonti di un’età più complessa.

          SERGIO D’AMARO

           «Nel Nord della Puglia. Studi, documenti e impressioni di viaggio» di Francesco Giuliani (Edizioni del Rosone, pp. 321, euro 20).

             

        

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