CENTENARIO DEL
MANIFESTO DEL FUTURISMO
OMAGGIO A MARIO CARLI
CARLI E MARINETTI
Il centenario del Manifesto del Futurismo, nel febbraio del 1909, ha visto una serie impressionante di iniziative culturali che, per forza di cose, hanno riportato la dovuta attenzione anche sui compagni d’avventura di Marinetti. Tra questi, in Puglia, in prima linea c’è Mario Carli, il futurista di San Severo, che in questo periodo è pluricitato.
Per noi, che studiamo questo nostro concittadino da quasi vent’anni, è una soddisfazione in più. Ma chi è Mario Carli, a cui qualche anno fa è stata dedicata un’importante via di San Severo?
Figlio di un capostazione romagnolo, in servizio proprio nello scalo ferroviario sanseverese, e di una pugliese di Conversano, Carli nasce il 30 dicembre 1888, ma la sua nascita viene dichiarata solo il 1° gennaio dell'anno successivo.
Dopo aver trascorso alcuni anni in terra dauna, lo ritroviamo sulle rive dell'Arno, a Firenze, dove incontra un gruppo di amici altrettanto spregiudicati e dinamici, tutt'altro che bendisposti verso le glorie del passato. Sono i componenti dell’ormai nota "pattuglia azzurra", a partire dall'inseparabile Settimelli, fino a Corra, Ginna e Chiti, un gruppetto di amici che entra fatalmente in contatto con Marinetti, come sempre bendisposto e generoso verso i suoi seguaci.
Carli entra a tutti gli effetti nel movimento nel 1913, collaborando, poi, alla bellissima rivista “L'Italia futurista”, che si pubblica dal 1916 al 1918, nel pieno di un vortice attivistico, che lo vede impegnato su più fronti, a partire da quello di guerra. Le idee basilari sono già chiare, e non cambieranno, a partire dall'esaltazione del dinamismo esistenziale, della capacità, insomma, di plasmare la realtà, piegandola ai nostri desideri. I nemici giurati sono il quieto vivere, il mondo borghese, le accademie, i musei, le biblioteche, i professori pedanti, i contemplativi.
Eccessivo e temerario, di nome e di fatto, abituato a non tirarsi indietro nel momento della prova, Carli si arruola volontario allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, diventando il leader degli Arditi, che organizza e difende a spada tratta in due libri, “Noi Arditi”, del 1919, e “Arditismo”, del 1929.
Il rifiuto del grigiore quotidiano e del livellamento trovavano nel corpo scelto una risposta concreta, ma non l'unica, specie quando gli eventi si susseguono a ritmo frenetico. D'Annunzio il 12 settembre 1919 giunge a Fiume; Carli poteva non raggiungerlo? Impossibile, anche a costo di allontanarsi di nascosto dalla caserma di Cremona, dove era stato rinchiuso in una stanzaccia, a causa dei suoi articoli sull’arditismo e la sua contemporanea appartenenza all'esercito.
Sulle rive del Quarnaro si realizzava la concretizzazione del Futurismo, la sua pratica attuazione, e il Vate veniva arruolato d'ufficio nel novero dei futuristi. Da questa esperienza nasce il volume “Con d’Annunzio a Fiume”, pubblicato da Facchi nel 1920 e riproposto nel 1992 a cura delle edizioni Miranda di San Severo. Brani giornalistici e pagine composte ex novo formano una testimonianza dell’atmosfera che si respirava a Fiume, città degli spiriti eletti e faro per il mondo intero. Di qui pagine rimarchevoli, come quelle de “Il nostro bolscevismo”, in cui egli si dichiara esplicitamente un ammiratore del socialismo reale, del modello russo, che aveva creato i soviet e rialzato l'onore nazionale, dopo la decadenza zarista. Un socialismo nazionalista, insomma, che si ritrova in armonia con le idee espresse nel “Manifesto dell’Ardito Futurista”, pubblicato da Carli nel 1919.
Gli opposti coincidono, dal momento che uguale è il nemico, rappresentato dall’ordine costituito e dal “cagoismo”; non a caso, d'altra parte, ai socialisti riformisti italiani il Nostro rimprovererà proprio il loro carattere “ferocemente antipatriottico”. Perché, scrive Carli, non gettare un ponte tra Fiume e Mosca?
Che il Nostro fosse un tipo singolare, lo dimostra anche l'ultima pagina di “Con D'Annunzio a Fiume”, nella quale si riporta il verbale di uno dei suoi innumerevoli duelli, quello con il tenente aviatore Ernesto Cabruna, che difendeva l'Arma dei carabinieri. Carli non aveva un fisico imponente, era anche miope, ma era esperto e aveva coraggio da vendere. Cabruna, così, si ritrova un proiettile nel costato, al quarto sparo, che pone fine al duello, “senza riconciliazione”, ovviamente, visto che Carli non intende ritrattare le parole rivolte all'Arma dei carabinieri.
La sfida più nota del
futurista, in ogni caso, è quella contro Malaparte, un altro personaggio
abituato a muoversi al di fuori del seminato, immortalata da una famosa
fotografia.
IL GIORNALISTA, LO SCRITTORE E IL
DIPLOMATICO
Date queste premesse, diventa perfettamente naturale
trovarlo il 23 marzo 1919 a Milano, tra le
poche decine di convenuti alla riunione di piazza San Sepolcro; il programma è
rivoluzionario, eccessivo, anticlericale: cosa cercare di più? Tre anni dopo
sarà tra i partecipanti alla marcia su Roma, pronto a far valere le sue ragioni
nella nuova Italia di Mussolini, amico di vecchia data.
Il suo maggiore incarico giornalistico sarà la
direzione del quotidiano
“L’Impero”, negli anni Venti, insieme con
Settimelli, chiamando a collaborare alla pagina
vecchi amici futuristi e dando prova del suo caratteristico stile graffiante,
che ama la polemica, l'attacco diretto, la frase dura e laconica.
Dagli articoli scritti sul quotidiano trae due
volumi dai titoli altrettanto emblematici, come “Fascismo
intransigente” (1926) e “Cervelli
di ricambio” (1929). La sua fedeltà al nuovo corso è al di fuori
di ogni discussione, ma il suo scontento aumenta sempre più.
Carli è un classico esponente del cosiddetto
“fascismo di sinistra”, che nell'Italia degli anni Venti porta con sé tutto il
dinamismo e l'ansia rivoluzionaria del passato, dei “giovani” opposti ai
“vecchi”. La purezza dell'ideologia, il sansepolcrismo, il fiumanesimo, gli
obiettivi massimalisti si trovano sempre più in difficoltà e così nei suoi
articoli lamenta certi limiti alla penetrazione delle nuove idee, certi residui
opportunismi, rafforzamento del Regime, che nel 1929 sceglie l'opposizione
concordataria.
Il vecchio anticlericale Carli è costretto ad adeguarsi, ma si chiudono molti spazi, a partire dall'“Impero”, per cui, negli anni Trenta il giornalista lascia giocoforza lo spazio al diplomatico. Nel 1932, infatti, gli arriva una nomina prestigiosa, ma che lo allontana da Roma: console generale d'Italia a Porto Alegre, in Brasile. Fu un distacco pesante, ma obbedisce; nel 1934 rientra nella capitale per essere inviato a Salonicco, dove però resta poco, visto che si spegne prematuramente nel 1935, stroncato da una malattia infettiva. Un'esistenza tutta da raccontare, insomma, che lo ha riportato oggi prepotentemente sugli scudi. Eccessivo ed avanguardista, in nome della nota fusione di arte e vita, ci ha lasciato, oltre a migliaia di articoli, più di 20 volumi, di cui alcuni ristampati di recente.
Il meglio della sua produzione va ricercato nel volume “La
mia divinità”, del 1923, nel quale confluirono le prose liriche
scritte in circa un decennio, soprattutto quelle relative al periodo
artisticamente più fecondo, ossia gli anni Dieci, nei quali si fa più sentire la
lezione futurista.
Troviamo opere dai titoli strani,
come “Ho fabbricato la Primavera”
e “Intervista con un
Caproni”, che culminano in quello che è il suo capolavoro
letterario, il poemetto in prosa “Notti
filtrate”.
Il testo,
di ardua lettura, viene definito dallo stesso autore come formato da «dieci
momenti di lirico sonnambulismo, nei quali i ricordi e le immagini si coagulano
in assenza, lasciando filtrare l'inutile zavorra dei legamenti coordinatori».
Il tempo, che spesso sa essere galantuomo, ha reso giustizia a Mario Carli, dopo tanti giudizi al vetriolo. Per noi, è il giusto riconoscimento ad una vita e ad un’opera di notevole rilievo.