IL FU MATTIA PASCAL CENT’ANNI DOPO

 

 

Ha cent’anni ma li porta proprio bene: ci riferiamo al celebre romanzo di Pirandello Il fu Mattia Pascal, che ha brillantemente tagliato nel 2004 questo primo traguardo. L’opera fu infatti pubblicata a puntate sulla rivista “Nuova Antologia”, dall’aprile al giugno del 1904, per poi essere racchiusa subito in volume.

     Il romanzo ha ottenuto un immediato successo, che è passato indenne attraverso le molteplici ristampe che ha avuto, fino ai nostri giorni, e di sicuro la storia del bibliotecario di Miragno possiede una sua leggerezza, una sua intima leggibilità, delle doti, insomma, che giustificano ampiamente il favore di cui gode, a dispetto dell’amara morale che contiene.

Quest’armonia, che non sempre si ritrova nelle opere di Pirandello, talvolta inclini ad un compiaciuto cerebralismo, ad un gusto del paradosso fine a se stesso, ad un bizantinismo che non riscalda, fa sì che Il fu Mattia Pascal costituisca il libro ideale da suggerire per un invito allo studio della produzione del grande scrittore di Girgenti. Un grimaldello infallibile, che apre la conoscenza di uno scrittore che, è superfluo rimarcarlo, appartiene all’elite della letteratura mondiale.

A tutti è sicuramente capitato di gridare “basta, lascio tutto”, di fronte alla routine quotidiana. Tutti hanno avvertito, chissà quante volte, la tentazione di gettare all’aria ogni cosa, di andare altrove.

La tentazione della fuga è uno dei modi in cui si manifesta il dolore dell’esistenza, il peso dei giorni. Il dovere, il condizionamento, le responsabilità, da un lato, l’evasione e il rifiuto, dall’altra, che fungono da dolce illusione, da sogno allettante, che si definisce con i colori del mare dei Caraibi e con le immagini di una perpetua vacanza.

     Se poi il caso ci mette lo zampino, ecco che arriviamo al romanzo di Mattia Pascal, alle sue vicende che lo portano lontano da Miragno, il paesino ligure dove vive, per ricominciare tutto di nuovo. E’ diretto in America, ma vince al gioco a Montecarlo (e quanti film hanno riproposto questo evento!) e la vita sembra risplendergli delle sue luci più sfolgoranti, tanto più che la moglie e la suocera, con una fretta mista a desiderio, riconoscono come suo il cadavere di un uomo ritrovato annegato.

Il vecchio bibliotecario non c’è più, ora c’è Adriano Meis, il falso nome che il protagonista assume, ma non ci vuole molto a capire come andrà a finire: la vita riprende a solidificarsi intorno a Mattia, con un’unica, fondamentale differenza: lui è morto e non ha alcun diritto, primo tra tutti quello di sposare la dolce Adriana, che conosce a Roma.

I sogni dei Caraibi muoiono all’alba e così, quando il pentito spera almeno di poter ritornare al suo posto, dimenticandosi dei motivi che lo avevano spinto in passato alla fuga, si accorge che anche quest’ultima possibilità gli è preclusa. Anche quel poco che aveva gli è stato sottratto e tra Mattia Pascal ritornato a Miragno dopo poco più di due anni e la sua vita di prima c’è l’ostacolo del nuovo matrimonio della moglie e, soprattutto, della figlioletta che la donna ha avuto dal nuovo marito.

La vita non ama peccare di generosità, anche quando sembra il contrario, e dunque le circostanze, apparentemente favorevoli, hanno solo complicato l’esistenza di Mattia, che vediamo chiudere i suoi giorni nell’ombra di una biblioteca, insieme con un vecchio canonico, mentre una zia gli ha offerto una casa dove poter vivere.

Un epilogo amaro, per la rivolta di un povero diavolo come il protagonista del romanzo, che come tanti non possiede una superiore consapevolezza degli eventi, ma si trova a rischiare, prima allettato, poi punito dal gioco del caso. Nel 1904 Pirandello non ha ancora pubblicato il suo fondamentale saggio L’umorismo, il che ci permette di ricordare che, malgrado i suoi 37 anni, ha ancora un lungo cammino artistico da compiere. I suoi personaggi acquisiranno una ben altra, amara consapevolezza, fino ad arrivare al celebre Vitangelo Moscarda di Uno, nessuno e centomila. Ma noi non siamo eroi, bensì poveri diavoli, con buona pace dei critici, che hanno scavato nel testo indorando la pillola, con precisazioni e inquadramenti più ampi.

Mattia Pascal, così, ha dalla sua una maggiore capacità di coinvolgere il lettore, disegnando un cammino più emblematico e universale.

In lui rivive la rivolta inconsapevole, il desiderio di buttare all’aria il tavolo, che nasce da una circostanza fortuita, da un pretesto, dagli occhi dolci di una donna che assume il volto di una Sirena o da una nuova occasione di lavoro, da una malsana tentazione o da una nobile causa che sembra offrire una risposta definitiva alle nostre inquietudini.

In questo, probabilmente, risiede l’amara lezione che giunge dall’esistenza di questo bibliotecario pirandelliano.

Come recita un antico proverbio, ripreso anche da Verga, il matrimonio è una trappola per topi: quelli che stanno dentro, ossia sono sposati, vogliono uscire fuori, e viceversa. E l’esempio si può applicare a tantissimi altri casi, portando sempre alla stessa conclusione, ossia alla solida realtà della nostra scontentezza, a questa inquietudine di fronte all’esistenza che l’uomo moderno avverte con particolare forza.

E allora, bisogna privarsi a priori di ogni possibilità di fuga, di ogni speranza di trovare qualcosa di meglio, di impugnare finalmente la chiave che apre la porta dei desideri? Certamente no, ma l’anelito all’evasione non può non accompagnarsi alla realistica consapevolezza che, di fronte a tanti che ci provano, sono pochissimi quelli che ci riescono.

La maggior parte delle persone si riduce peggio di prima, perde anche quel poco che aveva, e questo è anche il destino del protagonista del romanzo di Pirandello, un uomo comune che all’inizio del romanzo era certo di chiamarsi Mattia Pascal, mentre alla fine, davanti alla tomba dove giace uno sconosciuto, non ha più neanche questa certezza.

Se non è amara questa conclusione… 

 

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