LE PRESENZE ANIMALI NEI CANTI DI LEOPARDI

UNA SCOMODA PIRAMIDE

 

        Leopardi si è sempre interrogato, diuturnamente e angosciosamente, sull'uomo e sul suo destino, cercando un perché alle fondamentali domande di sempre.

       Nel suo universo senza senso e tragico l'uomo è circondato da migliaia di specie animali e il filo dei suoi pensieri non di rado si è posato su di esse, con osservazioni di diverso genere, custoditeci dallo Zibaldone.

        Lo scrittore si mostra curioso della vita sociale degli animali, delle formiche come delle api, sottolineandone i pregi, rispetto a quella umana; osserva che gli esseri come i cagnolini e gli uccellini, in quanto deboli, vengono risparmiati dall'uomo e dalle altre specie; si sofferma persino sugli animali ammaestrati.

        E' un insieme di riflessioni, spesso acute e ragguardevoli, che si distende nel tempo. Nell'Indice del mio Zibaldone di pensieri le voci che riguardano gli animali sono tre, con vari rimandi alle pagine dello scartafaccio, ma gli indici analitici dei curatori delle varie edizioni del testo sono ben più ricchi di rinvii.

        Pagina dopo pagina è possibile cogliere l'evoluzione del pensiero del Recanatese che, dalle iniziali illusioni, finisce con il legare il destino dell'uomo e dell'animale con una ferrea logica, applicata in riflessioni come questa, celebre, del 1826: "Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl'individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi " (Zib., 4175).

 

 

          Risuona l'optimum non nasci degli antichi e in effetti è beato chi non si affaccia alle soglie dell'esistenza, come ribadisce un altro passo dello Zibaldone: "Tutta la natura è insensibile, fuorché solamente gli animali. E questi soli sono infelici, ed è meglio per essi il non essere che l'essere, o vogliamo dire il non vivere che il vivere. Infelici però tanto meno quanto meno sono sensibili (ciò dico delle specie e degli individui) e viceversa. La natura tutta, e l'ordine eterno delle cose non è in alcun modo diretto alla felicità degli esseri sensibili o degli animali" (Zib., 4133).

        In questa gradazione di infelicità, all'uomo, presunto padrone dell'universo, spetta il primo, poco invidiabile posto, scendendo da una parte fino alle pecore, docili e mansuete, che nell'esistenza collettiva del gregge attenuano ogni residuo sussulto di sensibilità, come ottenebrate e reificate; ma arrivando, dall'altra, fino agli uccelli, che con la loro vitalità, con il loro dinamismo, vengono considerati "naturalmente le più liete creature del mondo", come si legge nell'Elogio dagli uccelli delle Operette morali (p. 571).

         Ne deriva una sorta di piramide, dove tutti gli altri animali prendono il posto che gli compete.

        Gli uccelli e il gregge si incontrano, in modo significativo, nei due canti più importanti per il nostro tema, ossia Il passero solitario e il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia. Ma le presenze animali scandiscono l'intero libro dei Canti, dalle canzoni agli idilli fino a La ginestra, assumendo spesso un notevole rilievo e trasformandosi in occasioni di sublime poesia.

        Da un autore dal gusto modellato sui classici non possiamo logicamente aspettarci delle presenze animali particolari, inedite (l'eccezione più rilevante è la gallina), ma l'esame dettagliato diventa ugualmente ricco di dati e di spunti critici.

       

            Torna alla scheda del libro