INTRODUZIONE
           
        
 
Nel 1950 le Poste italiane emettono quella che è considerata quasi unanimemente 
la più bella serie ordinaria della nostra nazione, l’Italia 
al lavoro. Per noi, il “quasi” è del tutto superfluo. I diciannove 
francobolli sono il risultato della perizia di un grande artista, quale Corrado 
Mezzana, che già nei decenni precedenti aveva raggiunto dei livelli 
difficilmente eguagliabili. 
         
Ogni francobollo riproduce un’attività lavorativa caratteristica, ma non 
esclusiva, di una delle regioni italiane. I conti tornano, a dispetto delle 
apparenze, se solo pensiamo che l’Abruzzo e il Molise in quell’anno erano ancora 
uniti.
         
Per noi, la scoperta di questa serie fu una vera folgorazione e basta poco per 
ritornare indietro nel tempo, per riassaporare l’intenso piacere provato da 
quello studente ginnasiale che arricchiva il suo album con i diversi valori 
dell’emissione. Erano esemplari usati, quelli che prediligeva, in quanto più 
“vissuti”, attraverso i quali percorreva con la fantasia l’Italia, senza 
peraltro mai chiedersi cosa fosse la sciabica o come si coltivasse la canapa. 
Certe domande, in fondo, sono figlie della riflessione, magari della maturità.
         
Il giovanotto, insomma, era beatamente stregato dai soggetti rappresentati in 
quei francobolli, che attraversano buona parte degli anni Cinquanta e che 
rivisti oggi appaiono come l’ultima testimonianza di un’Italia tradizionale, 
prossima alla repentina scomparsa. In quei rettangoli gommati, tanto belli 
quanto poco pratici per il loro grande formato e la loro scarsa adattabilità al 
cambio delle tariffe (di qui la loro rapida sostituzione e la fine della 
validità postale, nel 1958), celebra il suo trionfo una nazione agricola, ricca 
di coste e di pescatori, in cui le attività artigianali erano ancora fiorenti e 
diffuse. 
         
Molti italiani di lì a pochi anni sarebbero finiti a lavorare nelle industrie 
del triangolo settentrionale o all’estero, e l’Italia moderna, con i suoi pregi 
e difetti (tanti, in entrambi i casi), stava per nascere, grazie soprattutto al 
sacrificio di milioni di meridionali, spostando il baricentro dalla campagna 
alla città. Intanto, però, quei francobolli, ad un lustro dalla fine della 
seconda guerra mondiale, tessevano l’elogio di un mondo tradizionale, popolato 
da placide greggi e da lenti buoi di carducciana memoria, caratteristica, 
questa, che li rende ricchi di fascino e di suggestione. Sono, insomma, più 
vecchi di quanto realmente lo siano, visti i cambiamenti intervenuti nella 
seconda parte del Novecento, e intrinsecamente poetici.
         
Questi pregi, d’altra parte, vengono amplificati dalla recente valorizzazione 
delle particolarità regionali, dalla scoperta che l’unità nazionale non è il 
frutto di uno sciocco livellamento, ma è il punto d’incontro di tante 
peculiarità, di tanti microcosmi orgogliosi di sé, ma non grettamente chiusi a 
riccio. Quest’idea, che persegue un giusto mezzo tra la vuota e interessata 
retorica patriottica e l’ignorante grettezza del leghismo, ci guida nella nostra 
ricerca letteraria ed è rimasta una bussola anche nella stesura delle prose 
creative.
         
Abbiamo messo a frutto l’esperienza acquisita con la pubblicazione, nel 2010, 
della silloge Lungo la strada che non curva, una raccolta di brani dedicati al 
Tavoliere delle Puglie, nei quali la parola si univa all’immagine, grazie alla 
collaborazione di un valido professionista del settore fotografico.
      
         
Questa volta il quadro si è allargato, coinvolgendo a pieno titolo una passione, 
quella per la filatelia, che in noi ha conosciuto negli anni varie fasi, 
passando dalla febbre intensa del periodo scolastico alla tiepidezza 
dell’ingresso nel mondo lavorativo, per poi ritrovare pian piano, tra alti e 
bassi, calore e intensità. In modo diverso, dunque, ha accompagnato le svolte 
della nostra vita, come dimostra il racconto
I francobolli di Didimo, pubblicato 
nel 2003 in un volume collettaneo, che abbiamo non a caso posto in appendice, 
per il suo forte legame contenutistico. In questo scritto i libri e i 
francobolli lottano per la supremazia e i primi sembrano avere la meglio, ma i 
secondi si prenderanno in seguito una duratura rivincita, riequilibrando la 
contesa. 
          
Di qui, pertanto, l’idea di scrivere queste prose, una per ognuno dei 
francobolli dell’Italia al lavoro. A questa emissione si collega anche il titolo 
scelto per il nostro lavoro, La fucina, la 
vendemmia e il legname. Il primo e il terzo termine si riferiscono, 
rispettivamente, al valore più basso, da cinquanta centesimi (Valle d’Aosta), e 
a quello più alto, da duecento lire (Trentino-Alto Adige), della serie; un modo, 
insomma, per evidenziare l’attenzione da noi riservata a tutti i francobolli 
dell’emissione. In mezzo, poi, c’è la vendemmia, che si ritrova sul valore da 30 
lire, dedicato alla Puglia. A detta di molti studiosi e appassionati, si tratta 
della vignetta più bella realizzata da Corrado Mezzana, con la sua delicata 
tinta, lilla rosa, come specificano i cataloghi, e il suo soggetto, una 
vendemmiatrice posta in primo piano, con sullo sfondo il celebre Castel del 
Monte, di federiciana memoria; oltre a ciò, la scelta vuole rappresentare un 
omaggio, discreto, per non far torto a nessuno, ma sentito, alla nostra regione, 
la Puglia.
         
Abbiamo rimarcato l’unità dei brani anche da un punto di vista formale e 
strutturale, dando ad essi una lunghezza standard, ricollegandoci, in modo 
moderno, a illustri precedenti, soprattutto nell’ambito della poesia. Già in 
Lungo la strada che non curva 
avevamo scelto di comporre delle pagine che superavano di poco la soglia dei 
mille caratteri, spazi esclusi; questa volta abbiamo alzato l’asticella, 
realizzando delle prose che varcano la soglia dei millecinquecento caratteri (il 
controllo è stato affidato alla precisione del programma di scrittura), senza 
andare troppo oltre. Ne è derivato un respiro ricorrente, un tentativo di 
coniugare costanti e varietà, che vuole costituire una sorta di marchio di 
fabbrica, quasi un sigillo d’autore.
         
Quanto ai contenuti, siamo partiti dai lavori e dai personaggi rappresentati nei 
vari francobolli, cercando di rimanere ad essi fedeli, senza gratuiti 
stravolgimenti; ma è evidente che per interpretare la vignetta abbiamo 
approfondito il senso della scena, abbiamo dato fondo a sentimenti, stati 
d’animo, pensieri e concetti che sono nostri, ad un mondo interiore che ci 
caratterizza, nel bene e nel male. 
         
Il risultato, questo incontro a metà strada tra oggetto e soggetto, tra la 
bellezza dei disegni e la nostra personale interpretazione, viene offerto, come 
sempre, all’attenzione del benevolo Lettore, sperando nel suo gradimento e nella 
sua comprensione.
        
 FRANCESCO GIULIANI