INTRODUZIONE

 

    

        La lezione sbagliata è il suggestivo titolo che Nino Casiglio diede ad un romanzo autobiografico, progettato ed iniziato, ma mai portato a compimento, la cui tesi portante, però, era molto chiara: esprimere la sua riluttanza all'accettazione delle idee dominanti e di quelle opinioni che sembrano tanto evidenti da apparire degli assiomi, all'ossequio a quei poteri che i più mostrano di riverire, per amore, per necessità o per ipocrisia.

        Una tendenza, voleva suggerire lo scrittore, sviluppatasi sin dagli anni giovanili e poi rafforzata dall'esperienza e dagli studi, creando l'uomo maturo, anticonformista, nel senso buono, ostile alla dittatura della maggioranza e ben deciso a continuare la sua ricerca delle verità, spesso scomode, poste alla base della convivenza sociale.

        Per noi, imbottiti di luoghi comuni e di pregiudizi, la sua frequentazione doveva rivelarsi davvero proficua e preziosa, anche quando restavamo interdetti di fronte a certe affermazioni, stentando, ad esempio, ad afferrare i caratteri di Gaetano Specchia, il protagonista del suo primo romanzo, che eravamo portati a liquidare sbrigativamente come un inetto, ma di cui si svelava pian piano lo spessore umano.

         Le etichette ideologiche cadevano, lasciando a nudo il cuore degli uomini, la loro tumultuante interiorità.

        Per questo motivo da molto tempo era nei nostri pensieri un saggio sull'opera letteraria di Nino Casiglio, da oltre un decennio; un lavoro che abbiamo rinviato a più riprese, presi da altre nostre curiosità intellettuali e, nello stesso tempo, in attesa di ulteriori manifestazioni della sua vena artistica, dopo La Dama forestiera, il suo quarto e ultimo romanzo, del 1983.

        In verità, conoscendo meglio l'uomo Casiglio, dovevamo accorgerci, senza ombra di dubbio, che il problema di scrivere altri romanzi, di offrire nuovo materiale alla sua casa editrice, non esisteva, anzi, non era mai esistito; una logica profondamente rigorosa, la sua, che non lo ha mai portato a ricercare il successo a buon mercato, a sfruttare la notorietà spacciando dei lavoretti facili facili e di pessimo gusto per opere originali, come accade ogni giorno a scrittori di tanto inferiori a lui.

        Il colloquio con il prossimo non poteva che avvenire sull'unica base possibile, ossia partendo dalle cose che l'uomo Casiglio sentiva di dover dire, senza preliminari ricerche di mercato.

        Dopo aver raggiunto il successo nazionale, con Acqua e sale, nel 1977, che gli era valso il Premio Napoli, aveva continuato a seguire la sua strada, consapevole dell'esistenza di un ingranaggio oliato e rodato da nomi ben più noti del suo, ma refrattario a seguirne l'esempio. Una scelta che ha evidentemente un suo prezzo, pagato anche in politica, un'altra sua vecchia passione, con un gesto, le dimissioni da primo cittadino della sua città, con il quale svelava senza vittimismo i caratteri di un sistema controllato da pochi ma basato sulla complicità di molti.

        Egli non aveva neppure, e questo va detto per amore di verità, un carattere perfetto, ma al fondo c'era sempre quella logica ferrea, che non da tutti e in ogni momento veniva ritenuta giusta o proficua, ma di cui si intuivano le ragioni.

 

 

         Ma chi è Casiglio? Uno scrittore di razza tipico del Sud? Un isolato in difficoltà di fronte al caos della società dei mass-media, in cui chi grida di più viene ascoltato con maggiore attenzione? Tutto questo, ma non solo questo, e quindi eviteremo di cadere nella trappola delle definizioni precostituite, per quanto suggestive, a partire da quella di scrittore meridionalista.

        Casiglio era soprattutto un uomo che si chiedeva il perché delle cose e che era abituato ad andare al fondo dei problemi, senza farsi distrarre dalle apparenze, un filosofo-scrittore che però non cadeva nel proverbiale fosso per guardare gli astri; soprattutto, il Nostro era molto attento nel ricercare gli uomini veri, apparentemente sconfitti dalla storia, mentre, al contrario, hanno saputo porre l'accento su quello che doveva essere e non è stato, sull'ipocrisia e sull'egoismo dei cosiddetti vincitori, sulla retorica e sull'ideologia, che hanno nascosto e nascondono ben altre verità, sulle costanti secolari che rendono il Seicento simile al Novecento.

        Egli amava ripetere, in una insistita polemica antistoricistica, che la storia non va necessariamente verso il meglio e che chi prevale non ha sempre ragione; ciò era dimostrato proprio da quanto avvenuto nel secondo dopoguerra, che ha rappresentato l'occasione perduta per realizzare una società più giusta, libera e colta. Ma la denuncia dello scacco verificatosi si accompagnava, all'opposto di ogni sterile recriminazione, allo sforzo di testimoniare in prima persona le proprie idee.

        Per questo sforzo di analisi, Casiglio si è servito con naturalezza del suo mondo, della sua realtà esistenziale, da persona radicata nella provincia pugliese, ma sempre resa in maniera problematica e intesa come un mezzo, non un fine. Del resto, in lui di provinciale, in senso gretto, non c'era niente, come vedremo.

        Tutti siamo uomini del nostro tempo, ma anche legati indissolubilmente all'intera storia; allo stesso modo, al di là della concreta situazione storica, dei suoi romanzi-saggio, c'è l'uomo senza aggettivi, l'ultima chiave di lettura, quella universale, che supera la contingente, senza scontrarsi con essa.

        Egli è soprattutto un moralista-saggista, rigoroso ed acuto, che a giusta ragione non viene considerato un autore semplice, visto che ogni sua parola nasce da un denso groviglio di pensieri, di affetti, di meditazioni, di suggestioni.

        Se i suoi romanzi non sono di amena lettura, ma presuppongono un'attiva partecipazione del fruitore, il discorso può dirsi sostanzialmente confermato per i racconti, finora rimasti troppo in ombra, ai quali noi abbiamo invece dato quel risalto che ci sembrava giusto.

       Non abbiamo neppure evitato le insidie, addentrandoci nell'analisi dei testi casiglieschi, specie dei più difficili, Il conservatore e La strada francesca, seguendo le predizioni dell'economista Specchia e le profezie di Alano, e abbiamo cercato di ricostruire lo sfondo da cui nascono i romanzi, spesso sfuocato, volutamente, da Casiglio.

        Il nostro obiettivo, in questo non facile lavoro, consiste nel porre alcuni punti fermi sul suo pensiero e sulla sua produzione, facendo risaltare il suo spessore di scrittore e di pensatore, facilitando, nelle intenzioni, quanti vorranno confrontarsi con la sua eredità d'artista.

        Per offrire un ritratto a tutto tondo, nella trattazione e nel capitolo bibliografico abbiamo anche accennato alla sua attività di critico e di ricercatore, che continuò fino alla sua scomparsa.

        Già, scomparsa. Infatti l'occasione che ha troncato il nostro più che decennale indugio è stata rappresentata dalla morte di Casiglio, avvenuta il 16 novembre 1995, a 74 anni, che ha prodotto l'incolmabile frattura che attende tutti, un evento che non è passato inosservato, a livello regionale e nazionale, come attestano gli articoli giornalistici a lui dedicati.

        A distanza di alcuni mesi dal ferale evento, crediamo non esista miglior modo di ricordarlo se non stendendo questo libro, che vuole essere un punto, lo ribadiamo, ma anche e soprattutto l'inizio di un discorso quanto più possibile articolato e polifonico, intorno ad una alta e profonda espressione delle nostre lettere.

 

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