INTRODUZIONE

 

Questo lavoro di ricerca ha un’origine lontana, risalente a vari anni fa, quando, leggendo un’antologia carducciana, fummo letteralmente stregati da due gioielli, posti uno accanto all’altro: si trattava di Mezzogiorno alpino e de L’ostessa di Gaby.

Un’impressione che ricordiamo ancora, unita al proposito di approfondire l’argomento, al fine di stendere qualche pagina di considerazioni critiche. 

L’autore era però lo stesso personaggio che alcuni ci additavano come vero e proprio simbolo della retorica, del distacco dalla realtà o, peggio, di un’involuzione politica negativa, che aveva lasciato il segno su di un’epoca.

Il dubbio che l’analisi fosse viziata da preconcetti che con le lettere avevano poco a che fare o, in altri casi, che si fosse fatta un’indebita confusione tra le pagine più gonfie di retorica e datate ed altre che non lo erano affatto, non ci abbandonò, rimanendo carsicamente vivo, anche se finirono con il prevalere altri interessi letterari.

Negli anni, però, abbiamo riscoperto, come giocando ad un puzzle, ma senza saperlo, per via indiretta, lo spessore dell’uomo, del poeta e del critico Carducci.

Era una pagina di critica, austera e ponderata, su un autore del Medioevo, che non dimostrava affatto il suo secolo di vita, era una lirica capace di rivelare al fondo le sue virtù artistiche, era la lode che grandi uomini del passato tributavano al maestro di Bologna.

Le grandi odi storiche, lo confessiamo, anche perché siamo in buona compagnia, continuano a rimanerci estranee, e certi tratti caratteriali dell’uomo ci fanno pensare che se l’avessimo conosciuto difficilmente ci sarebbe stato molto simpatico; ma quando, di recente, siamo ritornati sui due capolavori di Rime e ritmi, abbiamo ritrovato intatto il piacere della lettura di vari anni prima.

Dal fascicolo della “Nuova Antologia” del 1898, che contiene gli Idillii alpini, a portata di mano nella biblioteca cittadina, fino ad infervorarci per gli eroi del mondo della montagna valdostana, come Emilio Rey, e per i paesaggi d’alta quota della lombarda Madesimo il passo è stato brevissimo, grazie anche alla disponibilità di istituzioni e singole persone.

E’ nato così questo saggio dalle origini remote, che vuole essere il nostro piccolo tributo ad un poeta colto nelle sue ultime pagine, prima del grande e doloroso congedo dalla Musa e dalla vita. Un Carducci immerso in una luce per molti versi crepuscolare, e forse proprio per questo più umano e vicino, un uomo che di fronte alla maestà delle montagne riflette sulla sua esistenza e sui suoi limiti, sul piccolo e sul grande, senza precludersi le vie del sogno e del tempo, per ritrovare i grandi poeti del passato.

Malgrado la malinconia che anima tanti versi, egli non rinuncia a far sentire la sua voce, che giunge fino a noi, attraverso l’eco della poesia e dell’amore per il bello.

In questo modo, per altra via, abbiamo fatto nostro l’invito di alcuni validi critici a continuare le ricerche intorno a Carducci, in nome della sua attualità. Un ritorno che coesiste con le voci di chi ancora di recente ha contestato l’attenzione tributata a Giosuè nei programmi d’Italiano per i concorsi a cattedre nelle scuole medie o di chi continua a calare dall’alto comodi schemi interpretativi, senza cimentarsi nella ben più difficile opera di verifica. 

            Da questo punto di vista, il nostro lavoro è anche un piccolo atto di fede.

   

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