PERCHE' MERAVIGLIARSI?

ERRORI NEI COMPITI DI ITALIANO ALLA MATURITA': UNA RIFLESSIONE

 

Nei giorni scorsi tutti gli organi di informazione si sono soffermati sul cattivo stato di salute dell’Italiano. Ogni tanto qualcuno si diverte a scoprire l’acqua calda. Nella fattispecie, un’indagine promossa dall’Invalsi, l’Istituto per la valutazione, e dall’Accademia della Crusca ha evidenziato, nella prima prova dell’esame di Stato, riservata per l’appunto al compito di italiano, l’esistenza di gravi carenze da parte dei nostri studenti. Il campione esaminato, 6000 prove, era relativo al 2007. Gli studiosi hanno scoperto che i docenti della commissione sono stati più generosi e buoni rispetto a dei docenti esterni che hanno corretto liberamente i temi e rispetto ad altri che hanno utilizzato dei criteri approntati dalla Crusca.

Conclusione: c’è troppa ignoranza da parte dei giovani e troppo buonismo da parte dei docenti. Gli esperti si sono chiesti cosa abbiano appreso questi ragazzi in 13 anni di insegnamento, finendo per lanciare un accorato grido d’allarme.

Bella domanda. Potremmo rispondere che i ragazzi hanno appreso quello che ha voluto la società odierna, condizionata dalla dittatura della televisione, da famiglie che non vogliono vedere i figli troppo impegnati sui libri, a scapito della palestra e delle mille attività pomeridiane, e che si seccano se devono aiutare i propri figli a fare le lezioni. Famiglie, inoltre, che insegnano a non avere rispetto per i docenti e per l’istituzione scolastica, pronti a correre a scuola per litigare con il docente che si è permesso di criticare il figlio o mettergli una nota in condotta, di fronte all’ennesimo comportamento trasgressivo.

Quanto ai docenti, tutti sanno qual è la loro paga e in che modo sono stati selezionati per l’accesso al ruolo. Per uno che ha vinto il relativo concorso, ce ne sono cinque entrati con le solite sanatorie. Se poi si aggiunge che non c’è una carriera scolastica, si capisce anche che il livellamento coatto porta verso il disimpegno e l’alienazione professionale.

Ma non è tutto. E’ opinione molto diffusa che solo le materie scientifiche sono utili per il futuro dello studente. Bisogna apprendere l’informatica, le lingue straniere, la matematica; a cosa serve l’italiano? Per non parlare, poi, della madre della nostra lingua, che è il latino, prossimo a subire un altro grave colpo nella considerazione generale.

In queste condizioni riesce difficile far capire che per esprimere i concetti c’è bisogno della conoscenza della lingua di base. Tra le tre “I” di cui si parlava qualche anno fa, l’italiano, che guarda cosa comincia proprio con la stessa lettera, non c’era. Non è questione di scegliere tra materie e lingue, ovviamente, quanto di ribadire la necessità della tutela della base comune a tutti i saperi, offerta, appunto, dall’italiano. L’emarginazione culturale della lingua nazionale in certi istituti tecnici è vistosa e, insieme, assurda; ma potremmo ricordare anche la tendenza a concepire i licei scientifici come scientifici tout court. E poi si vorrebbero compiti perfetti?

Intanto, andrebbe fatta una obiezione, tendente comunque a diminuire le differenze di valutazione dei compiti di italiano: il docente della commissione è interno o proviene da paesi vicini, se non dallo stesso comune in cui si trova la scuola. Dunque, in ogni caso è condizionato nel suo giudizio, che non può stravolgere il curriculum degli studenti. Se un ragazzo ha sempre preso nove in italiano, ad esempio, il docente ci penserà dieci volte prima di dare un’insufficienza, finendo per limitare i danni, con buona pace di tutta la commissione; in assoluto, invece, la correzione è molto più semplice, ma priva di ogni contestualizzazione.

Detto questo, solo per ricordare ai soloni della Crusca e dell’Invalsi come funziona la macchina degli Esami, in aule per giunta torride e non climatizzate, a fronte di un compenso di 300 euro circa, se si è interni, o di meno di 1000, se si è del luogo o di comuni vicini, va sollecitato un cambiamento che coinvolge l’intera realtà scolastica, ma non, come si vorrebbe fare ora, con l’obiettivo di ridurre semplicemente gli sprechi. L’istituzione scolastica si rialza dal punto di vista della considerazione sociale, della retribuzione e della professionalità. In altri termini, investendo sulle strutture e sugli strumenti, pagando meglio i bravi docenti e chiedendo nel contempo più impegno, eliminando la ridda delle chiacchiere e della retorica.

Più nello specifico, poi, è fin troppo ovvio che bisogna intervenire sulle fondamenta della conoscenza della lingua, sullo studio della grammatica, sull’abitudine ad una lettura consapevole, sulla valorizzazione dell’importanza del nostro patrimonio letterario.

La nostra esterofilia è ancora proverbiale, sebbene oggi appaia un po’ attenuata, per fortuna. Ma, in compenso, c’è chi vorrebbe ricavare spazio per lo studio dei dialetti, una proposta che, alla luce di queste considerazioni, scelte fior da fiore, è il caso di dire, appare assurda.

Giudicare un elemento astraendo dal contesto, insomma, è sempre sbagliato. Parlare di ignoranza degli studenti nella conoscenza della lingua nazionale dimenticando tutto ciò che c’è intorno a questo dato, significa confondere gli effetti con le cause. Questa scuola è figlia dei nostri tempi e di una generazione che ha ritenuto di sostituire una scuola d’elite e amante della selezione con una di massa, lassista e assistenzialista, sempre più inutile. Se non si ha il coraggio di riprendere un cammino serio e concreto, non si andrà oltre gli articoli pieni di lamenti e di sdegno, di quelli che durano qualche giorno, per poi lasciare spazio ad una nuova denuncia delle storture italiane.

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