MEDICO ED EROE DI GUERRA

EMILIO RICCI E BENEDETTO CROCE

 

A Torremaggiore esiste una scuola elementare intitolata ad Emilio Ricci, un personaggio che forse a molti non dice nulla, ma la cui storia continua ad essere, a quasi un secolo dalla sua scomparsa, ricca di interesse, anche perché coinvolge a pieno titolo Benedetto Croce, il grande protagonista di una stagione della vita culturale italiana. Don Benedetto, infatti, firmò nel 1916 la prefazione al volume che racchiude gli scritti poetici e le epistole dello scomparso (“Versi e lettere di Emilio Ricci”, Laterza, Bari, 1916, pp. 204).

Il volume fu curato, postumo, dalla madre di Ricci, Giovannina Celeste, che nella copia che abbiamo sotto gli occhi firma anche, con una penna rossa, la dedica autografa. L’intento della sventurata genitrice è evidente: quello di far conoscere quanto più possibile le qualità morali ed intellettuali del giovane, stroncato dalla guerra nel fiore degli anni.

Egli era nato a Torremaggiore nel 1891. Educato in seminario, dopo la licenza liceale si era iscritto alla facoltà di Medicina di Napoli, laureandosi nel 1914. Lo scoppio della prima guerra mondiale lo porta al fronte, nel maggio del 1915. Il 27 agosto successivo una granata fa saltare la chiesetta nella quale si trovava per prestare le sue cure ai bisognosi, uccidendolo sul colpo. Aveva, com’è facile calcolare, solo 24 anni.

L’anno dopo esce il volume che conserva i suoi scritti, composti in un periodo che va dai 15 ai 22 anni. Si tratta di versi che rivelano la sua grande passione per la letteratura e la sua impeccabile conoscenza degli autori classici. Ovviamente, appaiono chiari anche i limiti legati alla sua giovane età, alla scarsità delle sue esperienze esistenziali.

Croce, in ogni caso, compone delle pagine calde di apprezzamento per le sue virtù umane e morali. L’Italia è impegnata in un terribile conflitto contro gli austriaci ed Emilio è un personaggio esemplare, uno di quegli uomini “docili a sottomettersi a ciò che appare razionalmente necessario, armonici nei loro concetti e nei loro atti, semplici nel loro sentire”. I suoi scritti hanno “l’alto valore di documenti di una vita di un uomo”, e dunque la loro valutazione non può essere racchiusa nei troppo angusti limiti dell’estetica.

Ricci è uno spirito intimamente e profondamente religioso, di una religiosità che supera i limiti confessionali per diventare amore verso i suoi commilitoni, verso i malati bisognosi di un pronto intervento.

In questo quadro appaiono interessanti soprattutto le lettere dell’ultimo periodo, indirizzate proprio alla madre. Emilio si sforza di rassicurare la genitrice rimarcando la sua tranquillità e le sue buone condizioni fisiche (“Vi basta sapere che sto benissimo, e, quel che più meraviglia, sto allegro e acquisto in salute”). Il suo cammino lo porta “nelle terre nuove d’Italia”, dove romba il tuono del cannone e ogni istante può essere fatale.

L’ultima lettera inviata dal fronte è del 25 agosto, due giorni prima del tragico epilogo. Emilio è da parecchi giorni nell’occhio del ciclone, ma assicura ancora di non stare “affatto male”. Sul monte Sei Busi cadono tantissimi giovani, e lui sarà uno di questi, un eroe d’altri tempi che non si è tirato indietro nel momento del bisogno. 

Le parole di Croce appaiono ancor oggi come un doveroso omaggio verso il destino infelice di questo medico ventiquattrenne, saltato in aria insieme con i suoi sogni, ma ancora vivo nella memoria di una comunità e di quanti hanno l’animo sensibile.

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