LA BOLLA DI EREZIONE DELLA DIOCESI DI SAN SEVERO

QUATTRO SECOLI DI CURIOSITA’

 

NEL LONTANO 1580

La cerimonia d’insediamento del nuovo vescovo della nostra Diocesi, mons. Lucio Angelo Renna, ha offerto al Giornale di San Severo l’occasione per un dono che, ne siamo certi, sarà gradito dai suoi tanti lettori. Ci riferiamo all’inserto che contiene la Bolla di erezione e la serie dei vescovi della Diocesi di San Severo, dal 1580 ad oggi. E’ l’occasione per procedere a ritroso nella storia locale, fino a fermarsi nel periodo post-conciliare; ma il concilio in questione non era quello Vaticano II, bensì quello di Trento, svoltosi qualche decennio prima, in una fase particolarmente turbolenta per la Chiesa cattolica. Il Concilio, come si sa, avrebbe dovuto ricomporre lo scisma di Martin Lutero, ma nei fatti sancì l’esistenza di una dolorosa rottura; in compenso, diede nuova linfa al Cattolicesimo, con la nascita di nuovi ordini religiosi e la fine di alcuni abusi di vecchia e recente data.

          In questo quadro si arriva al 1572, quando viene eletto papa Gregorio XIII, al secolo Ugo Boncompagni, un pontefice noto soprattutto per la riforma del calendario, grazie alla quale si cercò di ovviare ad alcuni problemi provocati dall’introduzione del calendario giuliano. Con l’entrata in vigore del calendario gregoriano si passò in un solo colpo dal 4 al 15 ottobre 1582: fu un evento che fece epoca.

Gregorio XIII, in verità, ha fatto anche altro, al timone della barca della Chiesa. Nato a Bologna nel 1502, è consacrato sacerdote in età matura, intorno ai quarant’anni, e nel 1558 ottiene la nomina a vescovo di Vieste, dove resta per un biennio. Questa parentesi pugliese gli permette di conoscere da vicino le vicende religiose della Capitanata, così da poter accogliere con cognizione di causa la richiesta dei sanseveresi, che chiedevano per la loro città la promozione a sede di diocesi.

Arriviamo così al fatidico 1580, per la precisione al 9 marzo, data riportata in calce alla Bolla di erezione. Gregorio XIII, “servus servorum Christi”, ossia “servo dei servi di Cristo”, come si definiscono tradizionalmente i papi, prendendo spunto da un passo evangelico, promuove San Severo, spostando la cattedra episcopale dalla vicina Civitate (“Infatti poiché CIVITATE, esistente nel Regno di Napoli, del tutto abbandonata e uguagliata al suolo non è abitata da alcun cittadino, e appena in essa di riconoscono le vestigia della Chiesa cattedrale, e perciò la Chiesa di Civitate non più esiste in realtà”).

La Bolla, come di consueto, è scritta in un latino curiale, ufficiale. I periodi si distendono interminabili, specie per noi che siamo abituati al linguaggio giornalistico, ad una comunicazione rapida e serrata. Ogni periodo del documento andrebbe spezzato in almeno due o tre parti. Non è facile seguire il filo del discorso; l’ufficialità, però, esige il rispetto di certe regole, in ossequio alla norma che insegnava ad adeguare lo stile al contenuto.

Nell’inserto il testo originale è riportato nella sua interezza, ma saremmo degli ingenui a pensare che saranno in molti a leggerlo. In ogni caso, la traduzione in italiano rende fedelmente le caratteristiche del testo latino, contrassegnato, come si è appena detto, da una scrittura fluviale e nello stesso tempo meticolosa. Bisognava, d’altra parte, stabilire con precisione le prerogative della nuova Diocesi ed indicarne i limiti territoriali, che si estendevano anche alla vicina Torremaggiore, come si legge: “Parimenti per autorità e tenore delle presenti lettere in perpetuo concediamo ed assegniamo all’accennata eretta Chiesa l’ulteriore cittadella di S. Severo come Città, nonché l’antica città di Civitate, tutto il suo territorio, i paesi, le terre, le ville, e gli altri luoghi una volta esistenti nella diocesi di Civitate, ed anche la località di Torremaggiore, di nessuna diocesi, e i territori e i distretti della medesima località di Torremaggiore e della città di S. Severo, come Diocesi”.

 

 

CURIOSANDO TRA GLI STEMMI

Con la stessa attenzione vengono esaminati anche gli altri aspetti relativi alla creazione di una diocesi, soggetta “all’Arcivescovo Beneventano per diritto Metropolitano”. C’era la necessità di disciplinare ogni aspetto come meglio possibile, prevedendo obiezioni e liti (che comunque non mancavano mai, alimentando cause pluridecennali).

Ad ogni buon conto, la Bolla non manca di intimare il rispetto delle prescrizioni papali con termini più espliciti e duri, chiamando in causa le Autorità celesti: “A nessun uomo adunque sia lecito con gesto temerario contraddire o infrangere questa pagina del nostro decreto di soppressione e estinzione, traslazione, erezione, istituzione, decorazione, concessione, assegnazione, remozione, unione, annessione, incorporazione, derogazione. Se qualcuno presumerà attentare a ciò sappia che incorrerà nello sdegno dell’Onnipotente Dio e dei BB. Pietro e Paolo Apostoli”.

Nel complesso, insomma, la lettura del documento, con i suoi inconfondibili segni dell’epoca, ci ricorda una pagina ancora attuale della nostra città, una storia alla quale apparteniamo anche noi.

Di qui inizia la serie dei vescovi locali, i cui stemmi si possono vedere nella seconda parte dell’inserto offerto dal Giornale di San Severo. Si parte da quello dell’aquilano Martino de Martinis (1581-82), per arrivare al quarantesimo, che è, poi, quello di mons. Lucio Angelo Renna.       

Gli stemmi sono quanto mai vari. Non sempre, in verità, è facile cogliere il loro significato. In alcuni casi, però, il nesso è trasparente. Ad esempio, il terzo vescovo della nostra diocesi, Ottavio de Vipera, di antica famiglia beneventana, nominato presule sanseverese nel 1604, pone al centro del suo stemma proprio il pericoloso rettile, benché coronato, con assoluto rilievo. Forse per un religioso non era una scelta molto azzeccata, visti i significati simbolici negativi che si collegano all’animale, ma il presule non era evidentemente dello stesso avviso. Una scala, invece, sostenuta da due leoni, spicca nello stemma del lucerino Antonio La Scala (1858-1889), a lungo alla testa della chiesa sanseverese.

Agli ultimi vescovi l’inserto riserva un trattamento di favore, con una riproduzione più ingrandita. E’ il caso di mons. Carmelo Cassati, nel cui stemma ci sono delle spighe di grano, richiamate anche nel motto latino, di mons. Silvio Cesare Bonicelli e di mons. Michele Seccia. Nello stemma di mons. Renna, infine, al centro c’è un albero che dà frutti (un ulivo, a quanto ci sembra…), mentre in cielo spiccano delle stelle (tre come le virtù teologali?). Dunque, se ne deduce un richiamo alla fede in Dio, che guida gli uomini, ed un invito a lavorare, per produrre dei veri frutti.

Gli spunti, come si nota, sono tanti, in rapporto alle curiosità e agli interessi dei singoli lettori. Motivo in più, questo, per conservare l’inserto tra i documenti di interesse locale.

   

Torna ad Archivio Letterario Pugliese