13 POETI RIUNITI IN “CARTOLINE DAL GARGANO”

IL FASCINO DI UNA TERRA INCONFONDIBILE

 

 

Da sempre si ripete che la società moderna non ha bisogno di poesia, che i versi non danno pane, che è meglio sporcarsi le mani, piuttosto che imbrattare i fogli di carta. A tal proposito esiste un’ampia varietà di proverbi, aneddoti e frasi fatte.

Tutto questo, però, non ha tarpato le ali ai poeti, né ha frustrato gli entusiasmi degli autori; anzi, sembra aver sortito l’effetto contrario, provocando una salutare reazione. I poeti spuntano ovunque, e nel timore di sentirsi ripetere qualche banalità sulla loro inutilità non esitano ad aggrapparsi al territorio, ad abbarbicarsi alle proprie radici. Il verso, insomma, si fonde con il proprio orizzonte esistenziale, ottenendo dei risultati di sicuro interesse, come nel volumetto che ci ha fornito lo spunto per quest’articolo: ci riferiamo a “Cartoline dal Gargano”, una silloge apparsa curata da Sergio D’Amaro, Enrico Fraccacreta e Salvatore Ritrovato (Levante, Bari, pp. 72, euro 10).

La raccolta contiene opere di 13 poeti, accomunati dall’argomento, dalla scelta di ispirarsi allo sperone della penisola, quel mondo che fino a pochi decenni fa custodiva ancora dei segreti, a causa della mancanza di idonee strade, di efficienti mezzi di comunicazione. Tagliato fuori dalla linea adriatica, il Gargano ha incantato molti viaggiatori, italiani e stranieri, prima di diventare un luogo privilegiato per il turismo.

        Qui sono nati anche numerosi dei poeti accolti nella silloge, anche se non tutti vivono nello sperone d’Italia; di certo, ognuno ha lasciato una parte di sé in questa regione, dove torna appena può. E’ il caso, ad esempio, di Joseph Tusiani, il noto poeta e traduttore nativo di San Marco in Lamis, che ritorna volentieri in Italia, dopo aver insegnato in varie università statunitensi, contribuendo alla diffusione della conoscenza del patrimonio letterario nazionale, da Leopardi a Dante. Le sue due liriche sono, rispettivamente, in latino e nel vernacolo del suo paese.

         Molto noto è anche Cristanziano Serricchio, nativo di Monte Sant’Angelo ma da sempre residente a Manfredonia, che alterna l’italiano al suo dialetto. Per ogni autore andrebbe fatto un discorso specifico, che però, per forza di cose, va riservato ad un’altra occasione. Qui ci limitiamo a ricordare la presenza nel volumetto delle liriche di Giovanni Scarale, già professore nei licei, nativo di San Giovanni Rotondo, città che ha dato i natali anche al poeta e critico Claudio Damiani, che vive a Roma, e al docente universitario Salvatore Ritrovato, che insegna ad Urbino; sono di San Marco in Lamis il preside Michele Coco, l’ispanista Emilio Coco e l’anglista Cosma Siani; Francesco Granatiero, medico e appassionato di dialetto, è di Mattinata ma vive a Torino; l’editore Vincenzo Luciani, invece, è di Ischitella, ma risiede nella capitale, mentre il saggista e poeta Sergio D’Amaro è di Rodi Garganico, ma vive a San Marco in Lamis. Gli ultimi nomi, altrettanto noti, ossia quelli di Lino Angiuli ed Enrico Fraccacreta, ci portano, rispettivamente, all’ambito barese e all’orizzonte della pianura del Tavoliere, ma rientrano nel volumetto per l’argomento delle liriche inserite.

 

Castel Pagano      

        Nella breve prefazione, a firma dei tre curatori, si legge, tra l’altro: “La fama di un luogo non si fonda solo sulla prelibatezza di una specialità culinaria o sulla ricchezza dell’habitat naturale, ma anche sulla capacità di restare nella memoria degli uomini, e quindi nelle loro parole”. Di qui, dunque, il senso del titolo della silloge, che contiene due diversi tipi di cartoline. Le prime sono delle vere e proprie immagini, un po’ sacrificate, in verità, dalla scelta editoriale di un formato troppo piccolo, mentre le altre cartoline, quelle più interessanti, sono rappresentate dai veri e propri versi.

La lingua italiana lascia a più riprese spazio al vernacolo garganico, con i suoi suoni caratteristici, e il lettore, che può ricorrere alle traduzioni poste in un’apposita sezione, quanto mai necessarie, non ha difficoltà a comprendere il perché di questa opzione. La lingua nativa, quella che si apprende nei primi anni, si lega sempre, in ogni caso, ad uno scaltrito controllo della forma, ad una tradizione che diventa sempre più ricca di precedenti e di opere di spicco, com’è stato dimostrato da altre raccolte e da studi critici, che hanno gettato una luce più chiara e uniforme su questa tradizione vernacolare.

In questo quadro, l’unica eccezione, come già si è detto, è rappresentata dalla scelta del latino, in Tusiani, con i suoi “Versus garganici, MCMXCII”, mentre Siani trasporta l’orientale haiku nello sperone della penisola, in “Gargano haiku”.

Le poesie sono in parte edite, ma non mancano anche quelle appartenenti a raccolte di prossima pubblicazione. E’ il caso, quest’ultimo, dei versi di Sergio D’Amaro, “Ingrandimenti (2001)”, tratti da “Fotografie e altre istantanee”, e di quelli del sanseverese Enrico Fraccacreta, che presenta due liriche inserite nella silloge “La camera di guardia”, in attesa di pubblicazione, ad alcuni anni di distanza da “Tempo medio” e dopo il successo della biografia sul giovane Andrea Pazienza, suo compagno di giochi nell’età più verde. La prima lirica, in particolare, “(il vento negli ulivi)”, conferma, con la sua felice densità semantica, la profondità della vena poetica dell’autore, raccontando una storia di vita e di morte densa di amarezza (“il vento negli ulivi già conserva/ quel guizzo brillante che t’assomiglia/ per stamparti sul bianco della calce/ così educato nella fotografia”.

Il Gargano assume, ovviamente, molti volti, tra rimpianto e conforto. Non di rado diventa l’occasione per verificare i tanti cambiamenti intervenuti, prodotti dall’incessante trascorrere del tempo. E’ il caso, tra gli altri, di Michele Coco, nella lirica “Oggi strade d’asfalto”, dove il fascino antico dello sperone della penisola appare completamente cancellato dalla modernità (“Io ti ricordo severo,/ inaccessibile,/ o mio Gargano./ Oggi strade d’asfalto/ ti violentano/ e sulle tue ferite/ di vecchio dio/ urlano bolidi ingiuriando”).

Nel complesso, “Cartoline dal Gargano” appare una silloge riuscita, in cui poeti di buon livello offrono la loro personale interpretazione di un microcosmo così interessante, quale appunto lo sprone o sperone della penisola. Gli innamorati del verso avranno dei validi motivi per apprezzare il volumetto.

 

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