SAN SEVERO, 1859

UNA RACCOLTA DI LIRICHE PER DONNA MADDALENA

 

 

NEL MONASTERO DELLE BENEDETTINE

A più riprese ci è capitato di leggere delle poesie composte per celebrare i momenti canonici che segnavano la vita religiosa delle monache benedettine di San Severo. Come si sa, in passato era molto viva l’abitudine di commemorare alcune ricorrenze particolari, liete o dolorose che fossero, curando la pubblicazione di apposite raccolte. Ce ne sono pervenute alcune, tra le quali quella che ricorda la professione religiosa di Maddalena Masselli, avvenuta nel 1859.

Per la precisione, il titolo completo del volume, stampato nello stesso anno dalla tipografia di Giuseppe Ciampitti, a Foggia, è il seguente: “Corona di componimenti poetici per la professione religiosa della Signora D. Maddalena Masselli avvenuta nel dì 29 settembre fra le Reverende Suore Benedettine di Sansevero”.

Il libretto, conservato nella nostra biblioteca comunale, oltre che in quella privata dell’amico Alfio Nicotra, che ce ne ha fornito una copia, ha una cinquantina di pagine; esso contiene varie composizioni in diverso metro e, in due casi, anche in diversa lingua, ossia in latino (“Alcaicum”, di Vincenzo, ribattezzato per l’occasione Vincentius, de Ambrosio) e in francese (“L’adieu”, siglata G.M.P.).

La sanseverese Maddalena Masselli ha 21 anni, come si desume consultando il libro di Giovanni Checchia de Ambrosio “Monastero delle Benedettine”, edito nel 1981. E’ infatti nata nel 1838 e scomparsa nel 1899, quando ormai la sorte del cenobio era segnata, a seguito dell’applicazione della discutibile legge del 7 luglio 1866 di “Soppressione degli Ordini e delle Corporazioni religiose”, voluta dal nuovo Stato italiano. Quando, però, suor Maddalena compie la sua scelta, dopo essere entrata in tenera età nel monastero, regnavano ancora i Borboni e la capitale era più a Sud, a Napoli. Ferdinando II era morto il 22 maggio 1859 e il suo posto era stato preso da Francesco II, più noto come Franceschiello.

La Storia stava preparando una delle sue tante sorprese, servendosi di un certo Garibaldi, che pochi mesi dopo, nel maggio 1860, avrebbe iniziato la sua celeberrima spedizione, piegata ai proprio fini dai Savoia. Ma nell’interno del monastero la religiosa doveva pensare ad altro, e non senza ragione.

Il libretto in suo onore si apre con delle iscrizioni, dettate da Vincenzo de Ambrosio, poi ci imbattiamo in una “Introduzione” in ottave, siglata da un non meglio identificato L.S.P., che presenta l’argomento, come si trattasse di un normale canzoniere, solo di argomento sacro: “Del Divino, di lei, de’ voti suoi,/ Del tant’amor che l’accendeva il petto,/ Come sua speme da quel giorno in poi/ Fin da fanciulla al chiostro commetteva,/ In vari metri parleranno a voi/ Con quella possa che ciascuno aveva;/ Quindi a’ versi con benigno volto/ Lor perdonando porgerete ascolto”.

Nell’ultima strofa, poi, si esprime la speranza che la religiosa possa rendere il mondo migliore con le sue preghiere, care a Dio (“Farai l’etade nostra ormai sicura/ Di venia, d’indulgenza e di perdono,/ Se roco udrai di nostre rime il suono”).     

L’influsso di Petrarca e del ramo più illustre della nostra tradizione letteraria è evidente. Alcune liriche portano la firma di religiosi, come i canonici Luigi Brancati e Nicola Vetritti, mentre è un laico Gaetano Luigi Galanti, che firma un sonetto; di altri autori ci sono solo le sigle. In generale, si capisce, non siamo di fronte a capolavori, ma a liriche di persone colte che hanno confidenza con la poesia e la metrica, fatto rimarchevole, in un’epoca di analfabetismo di massa.

Tra le curiosità, segnaliamo una “Canzone”, che reca in epigrafe una citazione da Leopardi, e precisamente dall’“Inno ai Patriarchi” (“Oh fortunata/ Di colpe ignara e di lugubri eventi/ Erma terrena sede!”). Il nome del Recanatese, al di là del senso che si vuole dare alla citazione, non era molto intonato al contesto religioso, com’è facile comprendere.   

 

DUE SONETTI

 

La forma metrica più presente in questa “Collana di componimenti poetici” è il sonetto, come i due che riportiamo di seguito. Essi non hanno un titolo, ma vengono entrambi designati con il nome della forma metrica.

 

SONETTO

 

 

Chiusa fra claustri in solitarie mura

Aperto un gran volume innanzi ha fiso,

Ella vi legge, pensa e poi matura

Ogni parola e non scolora il viso.

 

Le fugaci bellezze di natura,

L' incanto de' leggiadri ed il sorriso,

L' amore de' parenti e la premura

Non han domo quel cor, non l'han conquiso.

 

Legger si vonno gli adusati lumi

Pensieri eterni, casti sentimenti,

Solenni modi, candidi costumi.

 

Al Cielo, in ogni punta inargentata

Figge lo sguardo , e vola immantenenti

«Come colomba dal desio chiamata».

                                   L. S. P.

 

 

 

La religiosa, nel chiuso del monastero (“claustri”, v. 1, sta per “chiostri” e, più in generale, per i luoghi chiusi del cenobio), appare intenta a leggere e a meditare. La bellezza terrena, l’incanto e il fascino dei giovanotti galanti (“de’ leggiadri”, v. 6), l’amore per i propri cari, nulla riesce a farle cambiare idea. Gli occhi, ormai abituati (“gli adusati lumi”, v.  9), vogliono leggere (“Legger si vonno”, v. 9) di argomenti austeri e religiosi. La donna, insomma, guarda al cielo, non alla terra. Al v. 13 “immantenenti” è una forma letteraria per “subito”.

L’ultimo verso è tra virgolette, visto che si tratta di una citazione dantesca, appartenente al quinto canto dell’Inferno di Dante (v. 82). Nel testo dantesco si legge “Quali colombe dal disio chiamate”, e il riferimento è a Paolo e Francesca; qui, invece, il nome, “colomba”, è al singolare. Insomma, l’amore terreno e sensuale dei due celebri cognati viene ripreso in un contesto del tutto diverso, per esaltare l’amore spirituale che si rivolge a Dio.     

 

SONETTO

 

L’angiol dov'è che sovr'ali sicuro

Ratto sciogliendo il rapido suo volo,

A piè di DIO su per le vie del polo

Porti, o donzella, il tuo solenne giuro?

 

L'angel sei tu, che a DIO, col cor più puro

Dell'alba del mattin, prostrata al suolo,

Senza trar voce, od un accento solo,

«A te, dicesti, eterna fede io giuro...».

 

E la promessa, o fortunata, in Cielo

Propizia accolse il tuo Signore, IDDIO,

Che di ricambio ti donò quel velo.

 

Indi pel firmamento un suon s' udio,

«E mia sposa costei, suo core anelo,

Quel core è sacro a me, quel core è mio»

                                               C. F.

 

Nell’originale ci sono alcuni refusi, che abbiamo provveduto a correggere. Il poeta, per lodare la virtù della religiosa, si chiede dove sia l’angelo che ha percorso le vie del cielo (“polo”, v. 3) per portare a Dio il solenne giuramento della donna; ma non c’è nessun angelo, anzi, la donna stessa è un angelo, che ha fatto giungere direttamente al Creatore la sua promessa, ricevendone in cambio il velo monacale. Le parole finali esprimono ancor più solennemente il gradimento del Cielo per la scelta di suor Maddalena.

Nel complesso, questi versi hanno la capacità di riportarci ad un mondo lontanissimo ed affascinante, quando nell’interno del grande complesso monastico ferveva la vita religiosa, senza peraltro mai trascurare la magia dell’arte, a cominciare dalla musica.

E’ un passato illustre, che per certi suoi risvolti è addirittura stupefacente. E’ bene non dimenticarlo mai. 

 

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