LE EPICHE SFIDE TRA BARTALI E COPPI       

    

 

         “Ma chi era più grande tra Bartali e Coppi?”: è la domanda che ci rivolge nostro figlio, sfogliando le pagine del libro di cui abbiamo appena ultimato la lettura, mentre ci accingiamo a stendere l’articolo. Bella domanda, la stessa che ci siamo posti anche noi, fingendo di accontentarci della solita, salomonica risposta che viene data in questi casi: erano due grandissimi campioni, perfettamente uguali. Ma sarà vero? Chissà.

        Il volume in questione si intitola Bartali (Mondadori, 2004, pag. 230, euro 17) ed è opera di Leo Turrini, un giornalista sportivo che ha al suo attivo altre monografie simili, tra cui quella di Enzo Ferrari. Anche Turrini è diplomatico, parlando di due inimitabili ed inarrivabili assi delle due ruote, ma sulla copertina campeggia un’immagine del 1954, relativa al Giro di Toscana, in cui si nota Bartali staccare in salita il suo acerrimo rivale. Forse la scelta, con quel toscanaccio dal volto tirato per lo sforzo dell’impresa, che punta a liberarsi del fastidioso comprimario, parla più delle parole.

        Gli anni passano, ma Bartali e Coppi restano due personaggi vivissimi, in grado di suscitare emozioni ed impressioni anche nei tanti che non sono stati testimoni delle loro vicende. Una storia, la loro, ricca di elementi appassionanti, che ha prodotto non a caso già varie biografie, nella cui scia si pone anche quest’ultima.

        Fausto Coppi, classe 1919, si è congedato dal mondo nel 1960; un destino tragico, il suo, ma che lo ha consegnato ai posteri nell’immagine del campionissimo, del ciclista nel suo fulgore esistenziale, che si è fermato un attimo prima di scendere da quel sellino dal quale, invece, Bartali ha dovuto scendere per confrontarsi con il “dopo”.

        Bartali era nato 5 anni prima del rivale, nel 1914, in un sobborgo di Firenze, e ci ha lasciato nel 2000. Era vecchio, rispetto a Fausto, e tale è diventato davvero, anno dopo anno, anche se circondato sempre dal medesimo rispetto. Lo schema interpretativo di tutti i confronti si desume facilmente anche da questi pochi dati: l’uno è il vecchio, l’altro il giovane, l’uno richiama la realtà, l’altro l’ideale, il sogno affascinante e tragico, l’uno è la prosa, l’altro la poesia.

         Se poi si aggiungono, a ragione o a torto, anche altri elementi di contrasto, non esclusi quelli politici, religiosi e morali, si capisce come il quadro diventi articolato e suggestivo, ma anche insidioso. Il terragno Bartali, ad esempio, incarna sì la concretezza, ma è anche dotato di una fede adamantina, che lo accompagnerà per tutta la sua vita. L’unica tessera di cui si gloriava era, non a caso, quella dell’Azione Cattolica, e nemmeno Mussolini riuscì a fargli cambiare idea; inoltre, era un terziario francescano, legatissimo alle pratiche di devozione popolare.

         La biografia di Turrini parte raccontando le umili origini della famiglia di Gino, per poi dirigere subito la narrazione nell’alveo della sua grande passione per il ciclismo, che lo ha visto ottenere ben 144 vittorie, tra cui tre giri d’Italia, due Tour de France e quattro titoli italiani. Una carriera ventennale interrotta dalla guerra mondiale, ma ripresa con coraggio e determinazione, come a voler fermare il tempo.

         Tra le tante vittorie, ovviamente, il biografo sottolinea, sin dal sottotitolo del libro, “L’uomo che salvò l’Italia pedalando”, quella al Tour del 1948, che permise di alleggerire la tensione dell’attentato a Togliatti da parte di Antonio Pallante. De Gasperi in persona telefonò a Ginaccio, che già conosceva, pregandolo di dare il meglio di sé, per la sua carriera, ma anche per l’Italia, e il corridore toscano centrò l’obiettivo di vincere la grande classica d’oltralpe, mandando in visibilio una nazione.

         Cattolico ed ostile al fascismo, Bartali indossò, per ironia della sorte, la camicia nera per aiutare gli ebrei, portando con sé dei documenti falsi, che gli permisero, sfruttando la sua notorietà di ciclista, di salvare numerose possibili vittime dei lager.

         Un uomo retto, Bartali, dalla lingua lunga, ma mai quando doveva vantarsi delle opere buone, un personaggio che nel delicato periodo dal 1943 al 1945 rischiò seriamente la vita. Nei pressi di Bracciano, in particolare, dei partigiani comunisti stavano per fucilarlo, e anche in seguito, specie nella sua rossa toscana, non mancarono dei problemi, vista la sua matrice clericale.
          Il ritratto che ne deriva è sicuramente positivo, senza scadere nell’agiografico, il che è importante in un libro come questo. Non mancano, del resto, dei riferimenti molto precisi alla realtà del ciclismo dell’epoca, tra accordi di non belligeranza, sotterfugi e trappole, dai quali Bartali trasse talvolta giovamento, ma più spesso svantaggi.

          E il doping? Le “bombe”, ossia le sostanze che miglioravano le prestazioni agonistiche, giravano già da allora, anche se in modo molto più rudimentale, ma Bartali ne restò sempre immune, eccezion fatta per i campionati mondiali del 1950. Piuttosto, le voci maligne si appuntarono molto di più su Coppi, anche se prove certe non ce ne sono e i controlli attuali non esistevano.

          Era un ciclismo in cui giravano pochi soldi, più umano, ma di qui a pensare che ci fossero solo angioletti in questo mondo, la distanza è abissale.

         Tra le pagine più interessanti di questo libro, che non offre rivelazioni assolute, ma si serve bene della letteratura preesistente sull’argomento, segnaliamo quelle conclusive. In esse, si tirano le somme del lungo rapporto di rivalità sportiva tra Coppi e Bartali, che è sempre stato accompagnato da una stima reciproca, tanto che i due si frequentarono non di rado anche al di fuori del mondo delle corse.

        Ginaccio pianse amaramente per la scomparsa di Fausto, che lo privò di un caro amico in carne ed ossa, ma non di un personaggio con il quale egli ha continuato a confrontarsi fino all’ultimo giorno. Così aveva voluto il Destino e così vuole ancora, visto che la fama delle loro gesta si trasmette, giustamente, anche alle nuove generazioni.

 

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