TRA IL NULLA E LA MEMORIA

 “LE ASTUZIE FATALI” DI EMANUELE ITALIA

 

 

Emanuele Italia è ritornato in libreria con un volume di versi intitolato “Le astuzie fatali” (All’insegna del Cinghiale ferito, Apricena, pp. 68, prefazione di Giuseppe Lagrasta). L’opera segue di due anni la pubblicazione della silloge “…e s’addolora la luce”, per i tipi della stessa casa editrice.

         Italia è un personaggio che non ha bisogno di molte presentazioni. Il suo cammino di poeta e di autore di racconti inizia negli anni Ottanta, precisamente nel 1985, con “Sarà di soli un’esplosione”, e continua nel 1987 con “Lettera di dimissioni e altri racconti”. Da allora si sono susseguiti vari altri lavori, tra cui due atti unici, “Viaggiando unitamente separati” e “Fraterne solitudini”, che testimoniano di un vivo amore per il teatro.

Il suo è un cammino denso e originale, che sviluppa una intensa riflessione esistenziale, nutrita da un vasto repertorio di letture filosofiche e letterarie.

Potremmo definirlo un corteggiatore del Nulla, un poeta che continua a ritrovarsi sconfitto nel suo slancio, senza però desistere. Alla fine, gli resta proprio la sua fede nella poesia, il suo sforzo di comunicare con il prossimo. Scrivere è una sorta di missione laica, continua a ripetere, sostenendo che il mondo ha bisogno della poesia come del pane, e questo impegno si nota anche nell’ultimo lavoro, che racchiude 52 liriche più o meno recenti. Alcune, infatti, sono nate nell’ultimo periodo, ma altre risalgono più indietro nel tempo e sono state incluse per la loro significatività.

 

 

         

        E’ una vena ancora fluente, quella del Nostro, che apre e chiude il suo libro con due liriche molto significative, “Puzzle impossibile” e “Vento di oblio”. Il puzzle che non si ricompone, ovviamente, è quello dell’esistenza, che continua senza senso verso il suo esito fatale: “Il tempo,/ fiume tumultuoso che via scivola,/ continua a trascinare la mia vita/ lasciando nella memoria corrosa/ frantumi di immagini”. La lirica offre una serie di flash, in cui qualcuno potrà anche riconoscere un’immagine tipica della città che ospita il poeta, quando si parla delle “maioliche, verdi squame sulle cupole/ come lucertole adagiate a bere/ i torridi raggi d’estate”. 

         I conti non tornano, certo, ma la poesia nasce e vive su questa constatazione, che sfocia nella noia della lirica conclusiva: “E lui, che aveva scordato se stesso e gli altri ed il Logos,/ disperatamente senza passione bofonchiò/ ‘se almeno avessi un pensiero da pensare’./ Niente. Nessuno. Chiuse le persiane/ e andò in cucina a prepararsi un the”.

         In questo cammino che si chiude su se stesso non mancano però dei momenti positivi, che sciolgono almeno per un istante il rigore dell’anima, e riportano ad una presenza femminile ed alla dimensione della memoria. Si pensi ad “Annunci e scie”, con il ricordo di un giorno di agosto “così presente e ormai tanto lontano”, che si contrappone all’inverno del presente: “L’inverno si è annunciato/ con piogge sottili, coi soli scialbati./ Lontane le montagne dell’Abruzzo/ sepolto serbano il ricordo/ dei giardini, dove col girotondo/ vorticava l’avventura della vita”. E nella stessa dimensione memoriale vive anche “Camminavi al mio fianco”, dove i versi si distendono, quasi assumendo la forma di prosa, evocando (non senza, ci pare, un’allusione parodistica) un mattino di maggio.

         La donna, intesa come l’altra metà del cielo, diventa persino protagonista di una lirica, intitolata “Rischio regina”, in cui si tesse l’elogio del “cuore profondo” femminile, “fatto per l’amore e per la morte”. Alla fine, “Senza più alfieri, né cavalli o torri/ la regina affronta la sua sorte/ recando nelle mani aperte/ rose scarlatte, i suoi ultimi doni”.

         La poesia di Emanuele Italia è limpida, si illumina di metafore e di trapassi subitanei, ma non abbandona mai il lettore, giungendo alla fine in un rapido volgere di versi liberi, nei quali si riconosce l’orecchio attento di chi non lascia nulla al caso, con scaltrita perizia, ma anche profonda onestà intellettuale, quella che talvolta manca in chi simula pensieri tanti oscuri quanto fatui.

         Con quest’ultima silloge, dunque, Italia, serbandosi fedele al suo mondo, continua nel migliore dei modi la sua avventura letteraria.

 

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