MEMORIE

ANGELO FRACCACRETA, LA FORZA DI DON CHISCIOTTE

 

        

         E’ difficile trovare delle figure così belle ed affascinanti come quella del prof. Angelo Fraccacreta, uno dei fari del nostro Novecento, di cui nel 2001 cade il cinquantesimo anniversario della scomparsa.    

         Per la precisione, Angelo venne a mancare il 7 gennaio del 1951, a 69 anni, ed era nato a San Severo nel 1882, uno dei rampolli della più illustre famiglia locale, avviandosi ad una carriera di studioso e di docente universitario, che doveva dargli delle grandi soddisfazioni. Per alcuni mesi, lo ricordiamo, fu anche rettore dell’Università di Bari, mentre si spegnevano gli ultimi fuochi della seconda guerra mondiale, lasciando un segno indelebile.      

         La sua figura resiste benissimo al tempo, non solo come economista, ma, fatto ben più difficile, come uomo, come personaggio che ha saputo chiudere con dignità e ricchezza interiore i suoi giorni. Un’impresa difficile, in ogni epoca. Una sua frase risuona spesso nei nostri discorsi, e l’abbiamo posta all’inizio di un nostro lavoro: “Meglio restare inascoltati cavalieri erranti delle idealità politiche, senza seguito e senza fortuna, che giungere ai fastigi degli onori attraverso la triste via delle rinunzie, sorretti dalla instabile fallace forza degli equivoci e delle segrete transazioni”.             

         Un pensiero meraviglioso, a condizione di risuonare sulla bocca di un vero testimone, e questo è di certo il caso di don Angelo, la cui esistenza è stata anche segnata da tante incomprensioni e da gravi dolori, che non lo hanno risparmiato, a partire dalla scomparsa dell’amata figlia primogenita, quella Anna, di cui il Destino ci ha fatto ripercorrere le vicende in un testo del 1998, “Angelo Fraccacreta: il dolore di una vita”, che abbiamo scritto con il cuore in mano e che solo per questo ci permettiamo di ricordare.    

         Il professore che vestiva di nero passò per la triste strada della sofferenza, purificandosi al fuoco dell’angoscia dei giorni, diventando più vivo che mai, ben diverso dal freddo economista che sembrava in apparenza, dal liberista che esaltava l’agire individuale, le capacità di un Sud che deve smettere di piangersi addosso. Come dargli torto? E come non vedere nel modo in cui venne trattato dai suoi concittadini e dai politici dell’epoca, nelle elezioni del 1946 e del 1948, un segno della difficile, per non dire impossibile coabitazione tra politica e morale? Un partito che si diceva cristiano gli preferì altri personaggi e un altro che si diceva comunista accettò in modo quasi sprezzante, in consiglio comunale, le sue dimissioni.     

         Da una parte le ideologie, dall’altra l’uomo che ha il coraggio di scegliere la strada più difficile, di essere sgradito ad entrambe le fazioni, professando un liberalismo che sulla carta ha tanti seguaci, ma che di fatto è rimasto raro, come le qualità morali del professore.            Oggi di lui resta tutto, a cinquant’anni di distanza, restano le sue opere, da quella giovanile del 1908, “Note di politica radicale”, da cui abbiamo tratto la frase sopracitata, agli scritti della maturità; ma soprattutto resta l’esempio di un uomo d’eccezione, che ha camminato lungo le strade della vita con dignità, con la fierezza e l’umiltà dei grandi. Che la Città non dimentichi mai il suo messaggio.       

           [2001]

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