SAN SEVERO IN UN LIBRO DEI SOLDATI AMERICANI

I RICORDI DEL CONCITTADINO ARTEMIO CAPOSIENA      

 

         QUEL TERRIBILE 1943

Nel 1943, alla notizia dell’armistizio, anche San Severo viene occupata dai tedeschi. Inizia, così, un periodo difficilissimo, anche se per fortuna breve, che lascia spazio, alla fine di settembre, all’arrivo degli alleati, che resteranno da noi fino al maggio del 1946. Si tratta di eventi ancora vivi nella mente di molti testimoni diretti, che in alcuni casi hanno affidato alla carta i propri ricordi, facendo un lavoro prezioso, visto che il tempo passa per tutti e cancella irreversibilmente le testimonianze orali.

E’ il caso, in particolare, del compianto notaio Dino Orsi, che ha pubblicato a puntate su di un quindicinale locale le sue memorie, intitolate “Quei lontani anni Quaranta…”, oggi raccolte nel volume “C’era una volta…San Severo”.

Anche nel racconto di Armando Perna “Quel Divino Bambino era in mezzo a noi”, incluso in “Racconti & racconti”, del 2003, ritroviamo, trasfigurate nell’arte, le stesse vicende, sin dall’inizio: “Al Red Cross, il circolo militare americano che gli occupanti avevano subito organizzato nei locali di Viale Matteotti, ad angolo con Via Marconi, l’orchestrina strimpellava le note di ‘It’s A Long Way to Tipperary’, una delle tante composizioni musicali contenute nell’Army Song Book, edito nel ’41 ‘to be used within military service”.

Sul nostro Giornale di San Severo, poi, il fratello di Armando, Diodato Perna, classe 1930, ha pubblicato un memoriale articolato e vivido su quei giorni, descrivendo, tra l’altro, lo spettacolo terribile di un padre che porta sulle spalle il cadavere del figlio: “Il giorno dopo una sentinella tedesca uccise un bambino di undici anni, perché giocava nei pressi della stazione…Io vidi quando il padre passò davanti casa mia (in via Principe Amedeo, attuale Via Don Minzoni), con il figlio morto, adagiato sulle spalle, schiena contro schiena, coperto da una grossa giacca dalla quale fuoriuscivano le braccia aperte e nude, dondolanti macabramente su e giù, ad ogni passo del padre. Una folla enorme e muta faceva ala al passaggio di tanto strazio”. Il passo, sicuramente commovente, è oggi contenuto nel volume di Armando Perna “Note ed approfondimenti sulla storia della città di San Severo”.

Di sicuro, chi ha conosciuto la guerra, specie negli anni giovanili, quando gli eventi restano più impressi, non può dimenticarla, per la carica di orrore che contiene. L’attenzione, allora, si ferma su momenti, volti, episodi, che restano indelebili, intensi, consegnati ad un eterno presente.

 

GLI AMERICANI A SAN SEVERO

Dopo questa indispensabile premessa, entriamo nel vivo dell’articolo, parlando di un libro, “As you were with the 956th”, che, come chiarisce del resto il titolo, contiene i ricordi bellici di molti soldati americani di stanza a San Severo, appartenenti all’aviazione.

Il volume, che ci è stato offerto in visione dal signor Artemio Caposiena, è scritto ovviamente in inglese ed è ricco di notizie e di fotografie, parecchie delle quali relative proprio a San Severo.

Il viaggio di questi soldati alleati parte dall’Africa, e precisamente dalla Tunisia, poi c’è lo sbarco in Italia, prima in terra campana, poi in Puglia, nella nostra città.

Tra le fotografie, una, in particolare, a piena pagina, è scattata dall’alto e rappresenta proprio San Severo, con la sua tipica pianta circolare, la sua stazione e i suoi inconfondibili luoghi. Gli americani, si capisce subito, erano ben organizzati e non mancavano di mezzi. Tra gli altri obiettivi fissati sulla pellicola, riconosciamo l’edificio scolastico inaugurato anni prima dal principe Umberto, la casa di riposo intitolata alla marchesa di Grumo, requisita per motivi bellici, e ci sono anche i volti di alcuni concittadini.

Il libro, che non riporta la data di stampa, almeno nell’esemplare che abbiamo visionato, è di certo interessante. Ci sono le foto dei grandi comandanti militari americani, dei personaggi famosi che, come l’attore Humphrey Bogart e il campione mondiale dei pesi massimi di boxe Joe Louis, hanno reso visita ai soldati, per incoraggiarli nel loro sforzo, e persino le foto delle donne che i soldati hanno lasciato a casa. Quest’ultima è una commovente rassegna di volti di spose, con la loro bellezza d’altri tempi e i loro sorrisi, ma anche di figli, che hanno palpitato per la sorte dei propri cari, che nel frattempo erano di stanza proprio qui da noi.

Ci sono, ovviamente, gli elenchi degli ufficiali, le foto di gruppo, e non mancano neppure le pin-up, le immagini delle donnine in abiti discinti o in pose misuratamente sexy, che ricordavano ai soldati l’esistenza dei piaceri della vita, ben diversi dalla crudeltà della guerra.

Si tratta, insomma, di un bel souvenir del periodo bellico, che i soldati americani direttamente interessati hanno ricevuto e gelosamente conservato. Tra questi c’è il tenente James Mc William, di Sacramento, in California, appartenente al genio militare dell’aviazione. E’ stato lui che ha fornito una copia al sanseverese Alfonso Caposiena, papà di Artemio, il quale, a sua volta, ci ha offerto la possibilità di conoscere questa pagina della nostra storia cittadina.

Artemio possiede anche numerose foto di questo periodo, che abbelliscono il nostro articolo, documentandolo. A questo nostro concittadino, classe 1930, abbiamo chiesto qualche altra notizia. Di qui l’intervista che segue.

 

I RICORDI DI ARTEMIO CAPOSIENA

D. Prima di tutto, signor Artemio, ci parli un po’ di lei…

R. Sono nato a Milano, dove i miei genitori, sanseveresi, si erano trasferiti dopo essere “fuggiti” per convolare a nozze. Le famiglie non erano molto d’accordo su questo matrimonio, e così, come allora si usava, mio padre Alfonso e mia madre, Aurelia D’Incalci, hanno troncato gli indugi mettendo tutti di fronte al fatto compiuto. Mio padre ha lavorato alla Pirelli e anch’io ho trovato posto in quest’azienda, da impiegato, fino al pensionamento. In seguito, sono ritornato a San Severo, una città che amo moltissimo e che non ho mai dimenticato, benché abbia mantenuto l’accento milanese, assimilato in tanti anni di lavoro.

Nel 1943, per sfuggire ai bombardamenti, mio padre decise di lasciare Milano per tornare a San Severo. Fu un viaggio lungo ed avventuroso, ma alla fine giungemmo a destinazione. Quando siamo arrivati, c’erano ancora i tedeschi, ma dopo poco tempo arrivano gli alleati, e allora tutto cambia.

D. Che ricordi ha di quel periodo?

R. Ero un ragazzo, ma già molto maturo, dati i tempi. Avevo molti contatti con gli americani e ricordo benissimo che avevano requisito, tra l’altro, il complesso di Palazzo Ricciardelli, dove c’era anche una mensa. Vi lascio immaginare quanto fosse delicata la situazione. La fame si toccava con mano. Gli americani, però, erano delle brave persone e il mio giudizio su di loro è molto positivo. Da loro trovavo da mangiare e osservavo con stupore e curiosità la grande quantità di scatolette che portavano con sé. C’era di tutto, a partire dalla carne.

Spesso mi offrivano delle sigarette, dai nomi indimenticabili, come “Camel” e “Lucky Strike”, che non fumavo, ma consegnavo a mio padre o rivendevo. Gli americani aiutavano i poveri e si sono comportati con grande generosità nei confronti di tutti.

D. Quali luoghi frequentava?

R. Proprio Palazzo Ricciardelli era uno dei posti che preferivo. Lì intorno c’era sempre un grande movimento e quando andarono via gli americani si portarono anche dei ricordi, oggetti, arredi e souvenir vari. Ma bazzicavo volentieri anche il bar riservato agli americani posto nei pressi del palazzo Recca. In quel posto anche oggi c’è un bar. Qui lavorava mio padre, insieme ad altri sanseveresi, come si vede nelle fotografie. C’erano anche delle donne, che si guadagnavano da vivere onestamente.

Era un locale riservato solo ai soldati bianchi; i negri non erano ammessi. Ho assistito una volta all’allontanamento coatto di alcuni americani di colore che non avevano rispettato l’ordine, cacciati, per giunta, da membri della Polizia Militare scuri di pelle, proprio come loro. E’ un fatto che mi colpì molto. Insomma, le differenze razziali si facevano sentire anche allora, benché tutti i militari fossero sulla stessa barca.

D. Ha avuto mai delle esperienze sgradevoli?

R. Mai. Un soldato di colore, simpaticissimo e molto alto, mi portava con la jeep nella vicina Torremaggiore per giocare a pallacanestro. Era una novità, questo sport, e anch’io ho tirato qualche pallone nel cesto, divertendomi. Mi sono fatto anche una foto con lui, che ho conservato. Quanto allo sport, a San Severo è venuto anche Joe Louis, che si è esibito per i suoi connazionali, ma a questa performance non ho assistito. 

Un altro episodio, poi, documentato da un’immagine, è relativo al battesimo di un mio fratello, che oggi vive in Marocco e non parla nemmeno più bene l’italiano. Ebbene, un americano volle essere il padrino di battesimo, e così andammo in chiesa in carrozzella, per la cerimonia. Fu un gesto molto apprezzato.

D. E l’amicizia con il tenente Mc William?

R. Questo ufficiale d’aviazione era diventato amico di mio padre e poi anche del resto della famiglia. Dopo la guerra, siamo ritornati a Milano, ma abbiamo continuato a scriverci con lui e conservo, tra l’altro, anche una foto di sua moglie, con dedica a mia sorella.

Un bel giorno, Mc William venne a trovarci nel capoluogo lombardo, portandoci una copia di questo libro. Ricordo che andammo tutti al teatro, dove si esibiva la mitica Wanda Osiris, insieme, tra i boys, ad Alberto Sordi e a Gianni Agus. Fu uno spettacolo che lo entusiasmò.

Quel libro di memorie militari venne donato a mio padre e, dopo la sua scomparsa, è passato a me. Può immaginare che è stato sempre custodito con cura, insieme alle fotografie relative a quei lontani anni Quaranta. E’ un pezzo di vita al quale tengo molto.

Fin qui il nostro concittadino Artemio Caposiena, che ha rievocato per noi alcune vicende della San Severo di oltre sessant’anni fa, facendoci conoscere un libro finora sconosciuto, dove la nostra città è ben presente. Un frammento di vita cittadina che valeva la pena, secondo noi, fissare sulla carta.

 

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