"IL PANE DELLA SERA" DI SERGIO D'AMARO
Sergio D’Amaro è un intellettuale impegnato su diversi fronti. Docente di
materie letterarie, collaboratore di importanti riviste, operatore culturale,
presidente dell’associazione Amici di Joseph Tusiani. D’Amaro è questo e
molto altro, da anni, e la sua attività procede a ritmo sostenuto. Ma il Nostro
è anche scrittore e saggista, e in quest’ambito ha aggiunto di recente ancora
altri titoli alla sua bibliografia. Ci riferiamo, in particolare, a Il pane
della sera. Racconti di un tempo perduto, il volumetto che la Besa di Nardò
ha pubblicato qualche mese fa (pp. 123, euro 16).
Quello che colpisce immediatamente di questa silloge di racconti è la capacità
di D’Amaro di rimanere fedele al suo mondo narrativo, aggiungendo però sempre
nuovi tasselli ad un mosaico che diventa sempre più nitido, completo ed efficace.
La sua vena è ancora una volta legata ad un filone rievocativo, nel quale le
vicende del singolo personaggio si ampliano fino a coinvolgere intere
generazioni, sullo sfondo dei grandi cambiamenti che hanno segnato la storia
dell’Italia nel secondo Novecento. Questo periodo, com’è noto, ha prodotto una
impressionante cesura nella vita degli uomini, fino ai giorni nostri. L’antica e
secolare civiltà contadina ha lasciato spazio ad un mondo segnato da repentine
novità e vistose innovazioni.
In questo caleidoscopio di situazioni allo scrittore non resta che cogliere, di
volta in volta, con abilità, i momenti più significativi, portandoli
all’attenzione di un lettore invitato a mostrare la sua complicità, a completare
il quadro con le proprie memorie.
Il pane della sera
è una silloge di 16 racconti dal breve respiro. Questa, del resto, è la
dimensione narrativa più consona all’autore, che ama le illuminazioni, i
flashes, i dettagli e le curiosità, per poi giungere ad una folgorante
conclusione, ad una verità ritrovata e donata.
Le memorie rivendicano l’ascolto, e lo scrittore le riscopre nelle pagine che
scrive, affidandole, di volta in volta, a personaggi che sono in qualche modo
legati all’autore stesso, nato a Rodi Garganico e poi trasferitosi a San Marco
in Lamis, dalle rive del mare all’interno sassoso del Gargano.
In questo cammino di maturazione i momenti particolari sono spesso scanditi da
canzoni o eventi di diverso genere, non escluse le partite di calcio, come
quella del 1970 tra Italia e Germania, o le Olimpiadi del 1960 che videro il
trionfo di Livio Berruti.
Emblematico è già il primo racconto, Accendi la radio, dove l’attenzione
viene rivolta all’importanza della radio e dei dischi, con la loro capacità di
aprire nuovi orizzonti, di favorire la maturazione di un giovane provinciale. In
questo contesto fanno la loro comparsa le figure familiari, le avventure
sentimentali, i momenti canonici di trapasso, che a distanza di tempo rivelano
il loro vero significato.
Per coinvolgere il lettore D’Amaro si serve di riferimenti diretti al mondo che
descrive, inserendoli con risalto nella pagina. I personaggi provinciali, così,
si scoprono parte di un’unica storia. L’autore scrive in modo asciutto, dando
ulteriore risalto ai vividi particolari che predilige, ma sa anche addentrarsi
nell’universo della poesia, con sprazzi di prosa che tende al lirico. E
quest’ultima direzione, va aggiunto, è quella che domina nella sua coeva
produzione in versi, come attesta la raccolta poetica Parachron (Di
Felice Edizioni, Martinsicuro, TE, pp. 80, 2024, pref. di Vincenzo Guarracino).
In questo modo, ognuno dei racconti si carica di particolari significati, pur
rivelando un’inconfondibile aria di famiglia. Forse il brano finale, Quella
nave per Boston, appare un po’ fuori posto, raccontando un’amara storia di
emigrazione e di sofferenza che viene fuori dal passato, riscattata finalmente
dalla scrittura.
Tra i racconti più significativi ed emblematici della maniera narrativa di
D’Amaro poniamo senz’altro Vacanze d’estate, con il suo richiamo
all’estate del 1963, con il suo sottofondo musicale e i suoi inconfondibili
sfondi paesaggistici: «Come filava la Seicento sulla Statale Garganica! Un
piacere vederla lanciata a 80 chilometri l’ora sul rettifilo addossato al lago e
poi imbucare i primi tunnel che tagliano qualche piede montano per rendere più
veloce la geografia». Questo viaggio si ripete per tutti gli anni Sessanta, con
il suo contorno di gesti e di oggetti che oggi definiremmo vintage.
L’estate del 1963 termina con la visione in un cinema all’aperto de La dolce
vita di Fellini, una pellicola che in realtà è del 1960, ma che ugualmente
colpisce in profondità gli spettatori.
Altri momenti canonici di crescita si trovano in Una giovinezza rock, dove Lucio, il diciottenne protagonista, scopre la necessità di una trasgressione generazionale. Egli è «giunto alla svolta di un ricco e insieme difficile ingresso nella vita», e di qui l’amore per i capelli lunghi e gli abiti all’ultima moda, malgrado la disapprovazione dei familiari.
A questo mondo aggiunge una nota patetica il racconto M’illumino d’immenso,
tra i più riusciti, che si apre con il ricordo dei primi jeans della Levis per
poi rievocare la figura di Elisa, un’adolescente rimasta nel mondo dei sogni
proprio perché fu un’occasione perduta, una possibilità sfumata. La realtà però
non manca di far sentire il suo graffio doloroso, nel momento in cui l’io
narrante viene a sapere della sua tragica fine: «Da allora non rividi più Elisa,
inghiottita nei mesi e negli anni che tracciarono le linee del suo destino. Fu
molto tempo dopo che venni a sapere del suo commiato dal mondo. Il suo fiore era
stato reciso crudelmente da un male inesorabile, mentre io avevo continuato a
figurarmela immersa nelle cure di una famiglia normale».
Un altro brano da non perdere è Parola di Zingarelli, che si apre con il
pensiero del mitico vocabolario di greco del Rocci, austero e ponderoso, per poi
soffermarsi su quello d’italiano del cerignolano Nicola Zingarelli, fonte
preziosa per la scoperta dell’importanza della parola. Tutto parte e riporta a
quel vocabolario dalla copertina rossa, con i suoi tesori e le sue suggestioni.
Tra i racconti, ovviamente, c’è anche quello eponimo, Il pane della sera,
un brano del quale è riportato nel risvolto della copertina.
Il libro, insomma, attesta la continuità di un lavoro di scrittura e di ricerca
che continua a dare dei pregevoli risultati.